In Iran il regime prepara condanne esemplari ma la protesta avanza
di Giuseppe Esposito
La scure della (in)giustizia iraniana si sta per abbattere su molti dimostranti arrestati. A Teheran e a Shiraz fioccano le incriminazioni. La magistratura iraniana vuole rendere i processi plateali e pubblici affinché siano visibili e da monito per tutti. Nella logica propagandistica del regime molti degli incriminati vengono indicati, assieme a chi ancora dimostra, come soggetti assoldati “nei ranghi del nemico”. E pertanto punibili più duramente.
Su questo solco l’IRGC (Islamic Revolutionary Guard Corps), attraverso i propri canali social, etichetta i dimostranti come un “ISIS domestico”. Si associa quindi alla leadership iraniana che considera l’ISIS un tipico fenomeno prodotto dagli USA.
L’Ayatollah Khamenei (nella foto) attacca i suoi abituali avversari stranieri. Secondo la sua visione gli eventi nelle strade del paese non sono solo semplici rivolte. Il nemico (lo straniero) avrebbe dato inizio ad una guerra ibrida e gli Stati Uniti, Israele, alcune potenze europee e vari gruppi hanno usato tutto ciò che avevano per innescarla.
Sul territorio iraniano la protesta avanza e il coordinamento dei manifestanti è sempre più accurato nonostante le fortissime limitazioni di internet imposte dal regime. Tra chi scende in piazza la ribellione assume sempre più i connotati di una “rivoluzione per la libertà” ed i caduti vengono eretti a martiri per la causa. Tale rappresentazione è ricorrente nei funerali e nelle commemorazioni dei morti. In strada si odono gli stessi slogan che il regime ha inculcato per anni nella popolazione per affermare la rivoluzione, il martirio del popolo iraniano e le idee nazionaliste. Quei motti vengono ora usati dai manifestanti per gridare al cambiamento e alla libertà. Nelle città si grida “morte al dittatore”, “morte ai Basij”, “morte a Khamenei”.
Il governo centrale per ora reprime duramente e organizza manifestazioni a favore del regime in varie città. A Teheran c’è stata la giornata nazionale di lotta contro l’arroganza globale. Il presidente iraniano Ebrahim Raisi ha voluto ricordare i fatti del 1979, quando fu accerchiata ed assaltata l’ambasciata statunitense nella capitale. Alle dichiarazioni del Presidente Biden “gli iraniani si libereranno presto”, il presidente Raisi ha risposto che “L’Iran è stato liberato 43 anni fa” e non si farà più ammaliare dagli USA.
Il regime non apre a concessioni e non sembra essere consapevole, e neanche temere, che un ulteriore inasprimento delle repressioni potrebbe innescare una escalation delle proteste. Specie in occasione delle varie celebrazioni per ricordare i morti. Così come crescerebbero a fronte di condanne esemplari e di morte comminate dai tribunali. Il governo iraniano non da neanche ascolto al religioso sunnita Molavi Abdolhamid Ismaeelzah. Questi chiede di ascoltare le richieste dei manifestanti e propone un referendum, alla presenza di osservatori internazionali, per “cambiare le politiche in base ai desideri del popolo”. L’agenzia di stampa iraniana Tasnim nel criticare Abdol Hamid per le sue posizioni lo accusa di fomentare i disordini.