C’era una volta lo Stadio San Paolo, c’era una volta Fuorigrotta, c’era una volta il 5 luglio del 1984. Era una giornata calda nella città del Golfo di Partenopee.
Il Napoli di Ferlaino aveva concluso la stagione 83-84 all’undicesima posizione della classifica, riuscendo però a mantenere la sua posizione nella competizione italiana più importante.
Il tifosi erano delusi, volevano qualcosa di più.
Ma un giorno, nelle strade della città, si iniziava a vociferare in merito all’arrivo di un nuovo giocatore, un ragazzo riccioluto argentino che giocava nel Barcellona.
Delle voci, giustappunto, perché le operazioni di mercato su Diego Armando Maradona durarono più del previsto.
Il Barcellona di Menotti infatti non riusciva a trovare il giusto compromesso con la squadra partenopea, tra bluff, offerte rifiutate, passi in avanti che facevano sperare e improvvisi passi indietro. Tutta la trattativa sembrava essere un ‘buco nell’acqua’ fin quando poi il Barcellona accettò l’offerta del Napoli pari a 13 miliardi di lire.
E 13 miliardi negli anni ’80 erano soldi con la S maiuscola. Era una cifra incalcolabile, che però il Napoli diede senza paura per quello che poi sarebbe diventato il simbolo di una squadra, di una città, di un’epoca, della storia del calcio moderno.
I tifosi napoletani, alla notizia dell’arrivo di Maradona rimasero incantati. Tutti erano entusiasti perché con lui, forse, si poteva sperare di arrivare a quell’obbiettivo tanto agognato.
Il 5 luglio del 1984
Il Napoli e il Barcellona avevano trovato l’accordo giusto. Maradona aveva firmato il contratto, era ufficialmente un’azzurro.
I napoletani erano in visibilio, aspettavano tutti l’arrivo del giocatore che poteva fare la differenza.
Era il 5 luglio del 1984, lo stadio San Paolo di Fuorigrotta aveva registrato il sold-out. Più di 70mila napoletani avevano pagato mille lire per il biglietto dello stadio, solo per accogliere quel ragazzo ricciolino in cui erano riposte tutte le speranze di un nuovo Napoli.
Furori il San Paolo, la città si era bloccata. Un’intera città in festa, perché da quella famosa scalinata che collega il campo agli spogliatoi, stava per salire, da li a poco, il “D10s” .
Si perché all’epoca il calcio era ben altra cosa. Il Napoli non era banalmente una squadra di Serie A, era un sentimento d’amore.
Il gioco del calcio accompagnava ogni cittadino, dal mattino fino alla sera prima di andare a dormire. La domenica era un giorno ‘sacro’. Si giocava, il Napoli scendeva in campo, la famiglia si riuniva per seguire le imprese di quegli undici scugnizzi che potevano far sognare.
Erano momenti di attesa, di scommesse, di radioline accese, di organizzazioni per capire dove si sarebbe vista la partita.
Erano momenti di gioia, di grida, di cori, di canti, di sconfitte, di giorni indimenticabili.
Il “Pibe de Oro” arrivò a Fuorigrotta alle 17.20, il comunicato stampa dell’ANSA recitava:
“Maradona è giunto a Napoli alle 17.20 a bordo di una Range Rover sulla quale avevano preso posto anche il suo procuratore Cysterzpiller, i due operatori televisivi personali del giocatore e i due dirigenti del Napoli che hanno condotto l’operazione di trasferimento.”
Erano le ore 18:30 del 5 luglio del 1984 quando un ventitreenne Maradona, incredulo, salì le scale del San Paolo accerchiato da centinaia di fotografi e accolto dal boato d’amore di una città che aspettava solo lui.
Diego si guardava intorno a se, allibito. Dopo l’esperienza non propriamente idilliaca spagnola, essere accolto da cotanto amore era impensabile anche per lui. E fu in quel momento che fece la cosa più sensata che gli potesse venire in mente, salutare a suo modo.
“Buonasera napolitani, sono felice di essere con voi. Forza Napoli” e iniziò a palleggiare in mezzo al prato verde di Fuorigrotta, regalando uno spettacolo stupefacente a tutto lo stadio, che in quelle ore sembrava stesse festeggiando la vittoria di Champions League.
Amore, questa era la parola che legava Maradona e Napoli. Si perché l’amore presuppone la condivisione della stessa sofferenza e della stessa gioia. Un ragazzo cresciuto ai margini della società argentina capiva perfettamente cosa significasse vivere nella Napoli degli anni 80.
Una città bistrattata dall’Italia del centro-nord, che viveva di espedienti per quella che era l’idea popolare, senza valutare ciò che di più bello e magico questa città poteva regalare.
E fu in questo turbinio di emozioni e ricordi che Maradona riuscì a vivere grazie a Napoli, che disse una delle sue frasi più celebri, che fecero di lui l’uomo simbolo di un’intero popolo:
“Voglio diventare l’idolo dei ragazzi poveri di Napoli, perché loro sono come ero io a Buenos Aires”
Da quell’istante in poi fu scritta la storia. La storia di un calcio che non esiste più, la storia di un giocatore che non esisterà più, la storia nel senso più completo.
Una storia scritta dai ricordi di quei giovani, che giovani oggi non sono più. Ricordi di un’epoca che era meravigliosa nella sua semplicità.
Ricordi, solo ricordi, che solo a ricorar brillano gli occhi.
Diego Armando Maradona