Il caso del Mostro di Firenze è senza dubbio uno dei capitoli più oscuri e complessi della cronaca nera italiana. Tra il 1968 e il 1985, un serial killer mai identificato con certezza ha terrorizzato la campagna toscana, uccidendo otto coppie di giovani. Nonostante decenni di indagini, processi e teorie, molti punti oscuri e dubbi rimangono irrisolti. Recentemente, nuove scoperte sul DNA rintracciato su un proiettile hanno riacceso l’interesse pubblico e sollevato persino la possibilità di riaprire il caso.
Lo schema del Mostro di Firenze
Le uccisioni attribuite al Mostro di Firenze seguirono uno schema preciso: il killer colpiva coppie appartate nelle campagne, sparando prima e poi mutilando i corpi delle donne. Una brutalità che scosse profondamente l’opinione pubblica, creando un clima di paura che durò anni. Le indagini, però, anche in questo caso sono state lacunose per molti versi. Numerosi errori, incongruenze e cambi di rotta hanno caratterizzato il percorso investigativo.
Una storia di errori e teorie contrastanti
Le teorie contrastanti tra gli investigatori su un singolo killer o un gruppo di assassini organizzati complicarono ulteriormente la storia. Diversi individui furono accusati e processati, tra cui Pietro Pacciani e i cosiddetti “compagni di merende”. Tuttavia, le prove contro di loro erano spesso circostanziali e contraddittorie, portando a numerosi dubbi sulla loro colpevolezza. Pacciani, in particolare, morì nel 1998 mentre era in attesa di un nuovo processo, proclamandosi innocente fino alla fine. Tecnicamente, è morto da innocente. L’avvocato di Pacciani, Nino Marazzita, dichiarò che secondo le perizie balistiche, considerando la traiettoria dei proiettili, il serial killer doveva essere alto come minimo 1,74 metri, mentre Pacciani raggiungeva appena il metro e 60. Le indagini furono influenzate da pressioni mediatiche e politiche, che portarono a decisioni frettolose e spesso potenzialmente sbagliate.
Nuove scoperte sul DNA
Recentemente, una nuova pista si è fatta strada. Gli investigatori hanno rintracciato tracce di DNA su una vecchia arma del delitto, un revolver utilizzato nell’omicidio di Nadine Mauriot e Jean Kraveichvili, la coppia di giovani francesi uccisi nella campagna di San Casciano nell’85. Questo DNA, che non corrisponde a quello di nessuno degli indagati precedenti, potrebbe fornire nuovi elementi per identificare il vero assassino. Vi sarebbe anche una parziale sovrapposizione di tale DNA su altri due proiettili rinvenuti in occasione dei duplici omicidi di Horst Wilhelm Meyer e Jens-Uwe Rüsch (9 settembre 1983) e di Pia Rontini e Claudio Stefanacci (29 luglio 1984). Grazie alle moderne tecniche di analisi, gli esperti hanno fatto un significativo passo avanti. E l’avvocato delle famiglie di alcune vittime, Vieri Adriani, si è espresso a favore della riesumazione della vittima Stefania Pettini, uccisa nel ‘74, che secondo consulenze medico legali avrebbe lottato contro l’assassino. Quindi, non è impossibile che sotto le sue unghie possa ancora esserci del materiale utile per le indagini.
Possibile riapertura del caso
Le autorità italiane stanno collaborando con esperti forensi internazionali per verificare l’accuratezza delle nuove scoperte e confrontare il DNA con database globali. Se confermato, il nuovo profilo genetico potrebbe portare quindi a nuove indagini e potenzialmente a un processo. La questione della riapertura del caso è complessa e coinvolge diversi fattori legali e investigativi. Alcuni dei crimini potrebbero essere prescritti, rendendo difficile la riapertura del fascicolo su basi legali. Tuttavia, in Italia, i reati più gravi come l’omicidio non hanno termini di prescrizione.La scoperta del nuovo DNA costituisce una “prova nuova” che potrebbe quindi anche giustificare la riapertura del caso. Se le autorità riterranno che questa prova sia sufficientemente solida, potrebbero procedere con nuove investigazioni.
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Scrivo e sono content creator True Crime su Youtube , canale SCARLETT NOIR.
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