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Indubbiamente la visita della folta delegazione governativa italiana in Turchia è stata un successo. Il premier Mario Draghi, accompagnato da ben cinque ministri, ha firmato parecchi accordi economici importanti con il leader turco Recep Tayyip Erdogan, prefigurando così una futura collaborazione sempre più intensa tra i due Paesi.

Solo che lo stesso Draghi, non molto tempo fa, aveva definito Erdogan “un dittatore”. Il che, tra l’altro, non è neppure corretto. Si tratta certamente di una personalità autoritaria. Ma occorre rammentare che “il sultano” non ha mai evitato il processo elettorale.

Al contrario, è sempre stato eletto con maggioranze di voti notevoli, anche se nell’ultima tornata i risultati sono stati meno brillanti. Non è molto popolare nelle grandi città come Istanbul, Ankara e Izmir (l’antica Smirne), ma lo è invece nella Turchia profonda, quella anatolica.

Evidentemente il nostro premier, che non è un politico di professione, aveva un po’ calcato la mano parlando di “dittatura”. Ora si è convertito alla realpolitik e cerca di promuovere al meglio i nostri interessi nazionali.

Lo fa constatando il peso crescente della Turchia nel Mediterraneo, in Africa e pure nell’area in cui russi e ucraini si combattono. Dispone di forze armate numerose ed efficienti, e svolge un ruolo chiave in scacchieri internazionali assai importanti per il nostro Paese.

In Libia innanzitutto, ma pure in Somalia e in altre nazioni africane. Senza scordare l’influenza di Ankara anche in Asia centrale, dove l’Azerbaijan ha usufruito dell’appoggio decisivo dei turchi in funzione anti-armena.

Quindi il riavvicinamento ad Ankara conviene all’Italia da molti punti di vista. In Libia per recuperare almeno parte dell’influenza perduta dopo la morte di Gheddafi, e in Somalia per ritornare ad avere voce in capitolo nella nostra ex colonia.

Ma è soprattutto sul piano energetico che la collaborazione può funzionare. Passa infatti in territorio turco la “Trans Adriatic Pipeline”, che parte dall’ Azerbaijan e, attraverso la Grecia, porta il gas in Puglia.

Il ruolo di Ankara è inoltre fondamentale per la sicurezza dei gasdotti libici, ai tempi di Gheddafi controllati dall’ENI. Un po’ a sorpresa, inoltre, Erdogan ha dichiarato che l’Italia parteciperà allo sfruttamento del grande giacimento di gas scoperto nel Mar Nero, con la presenza di ENI e di Cassa Depositi e Prestiti.

Tutti elementi, questi, che valgono a mitigare l’ansia italiana per le forniture di gas, ora troppo soggette ai capricci di Vladimir Putin. La Turchia, in fondo, ha il nostro stesso problema. Deve evitare la dipendenza energetica dall’estero e diventare un hub per le forniture energetiche.

Vi sono stati, nell’incontro, anche risvolti imbarazzanti. Erdogan ha attaccato la Grecia, che è nemico storico dei turchi ma ha ottimi rapporti co noi. Ha inoltre incassato da Draghi la promessa di appoggio per l’entrata nella UE.

Ankara è candidata da tanto tempo, ma finora la maggioranza dei membri dell’Unione si è sempre dichiarata contraria. Vedremo ora se il nostro premier riuscirà a mantenere l’impegno.

Infine spiace purtroppo constatare che i curdi sono ancora una volta vittime sacrificali, pur avendo fornito un grande contributo alla sconfitta dell’ISIS. Ma è ovvio che la realpolitik ha le sue regole e spesso impone sacrifici.

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