Una piccola speranza per Julian Assange: la giustizia britannica, tramite l’Alta Corte di Londra, potrebbe dare l’opportunità al giornalista e attivista australiano la possibilità di sfuggire alla procedura di estradizione negli Stati Uniti. L’uomo, rinchiuso da 5 anni nel carcere di massima sicurezza londinese di Belmarsh, potrebbe veramente sfilarsi dalla caccia americana che gli rinfaccia di aver diffuso documenti riservati del Pentagono e del Dipartimento di Stato.
Il verdetto dell’Alta Corte ha dato accolto l’appello della difesa del cofondatore di WikiLeaks, rimandando la discussione al prossimo 20 maggio. Tempo necessario per capire se le autorità dei due paesi saranno in grado di fornire rassicurazioni meno labili e più vincolanti su una serie di garanzie, a partire dalla non condanna a morte di Assange. Al momento però sono stati sospesi i termini previsti dalla procedura britannica in base ai quali l’estradizione, già autorizzata a livello politico, sarebbe dovuta diventare esecutiva entro 28 giorni. Sullo sfondo rimane comunque la possibilità di un trasferimento negli Stati Uniti dopo Assange rischia sulla carta una pena fino a 175 anni di carcere.
Le parole dell’avvocata Robinson e della moglie Stella Assange
Da parte di Julian Assange invece, l’avvocata Jennifer Robinson ha parlato di leva “importante” come dispositivo di libertà di espressione e di non credere che gli Usa possano dare garanzie adeguate al riguardo dopo che Amnesty International ha liquidato come “intrinsecamente inaffidabili” tutte le loro precedenti rassicurazioni su questo caso. Meno fiduciosa Stella Assange, moglie del giornalista, secondo la quale di positivo nella sentenza c’è il riconoscimento della “minaccia” ad alcuni diritti fondamentali del marito e della sua potenziale “discriminazione” come cittadino non americano; ma lascia “allibiti” il fatto che i giudici si siano riservati di revocare il via libera all’appello laddove fra tre settimane “gli Usa presentino una semplice dichiarazione politica per dire che è tutto ok”.