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di Luca Nappo

Cameron non ha scritto Avatar – La via dell’acqua. Almeno questa è l’idea che ci si fa una
volta visto il film.
Ma facciamo un passo indietro.

È 2009, in sala sbanca l’ultimo film del buon vecchio James, tutto non è più lo stesso. Il
mondo del cinema e la vita di tutti coloro che hanno preso parte a questo incredibile evento è
stata completamente rivoluzionata non solo dagli effetti visivi ma soprattutto dal modo in cui
una storia semplicissima sia riuscita a trasmettere così tanto.
Ad un certo punto però credo che un pensiero abbia attraversato la mente di molti, che
incredibile sarebbe stato se un giorno quello che è il regista di uno dei migliori sequel della
storia (stiamo ovviamente parlando di Terminator 2) girerà un altro film per raccontarci
ancora la storia di Jake Sully e della sua nuova casa …
Salto nel tempo. 13 anni dopo. Si accendono le luci in sala. Dopo 192 minuti un sogno viene
infranto.
Siamo chiari, se fosse solo per le immagini questo film sarebbe incredibile, in parole povere
l’acqua si sente. Le nuove ambientazioni marine e le creature che le abitano riescono ancora a
trasmetterci Pandora in tutta la sua grandezza.
È il resto che non tiene. Tra la numerose auto citazioni, sia al primo capitolo sia ad altri
grandi titoli (da Alien a The Abyss) che sembrano essere state inserite solo per distrarre gli
appassionati del cinema dal resto del film, ai personaggi che spesso sembrano essere più che
confusi, pensiamo a Spider che nel giro di 5 minuti passa da essere il terrestre più vicino
Na’vi al consigliere/informatore del nemico solo per riallacciare il rapporto con il padre che
lui stesso sostiene di voler rinnegare oppure gli Metkayina custodi del reef che parlano un
perfetto inglese nonostante affermino di essere rimasti sempre isolati dagli umani e dagli
scontri precedenti al film e che dopo aver spiegato a tutti la loro connessione con i tulkun
una sorta di cetacei che ripudiano la guerra e il conflitto tanto da esiliare i simili che violano
questa legge morale – sono i primi a voler intervenire contro i balenieri.


In generale tutto sembra come disallineato, non perfettamente a fuoco, o almeno non quanto
il primo. Sembra quasi che le tematiche teen, che poi sono anche la causa per la quale durante
lo scontro finale vengono inserite a forza linee comiche totalmente inutili e fastidiose, siano
messe in primo piano rispetto ai temi che hanno reso grande il primo film.
Ciò che veramente ci lascia quest’ultimo lavoro di James Cameron, oltre naturalmente
all’attesa del prossimo capitolo previsto per il 2024, è un grande interrogativo: la sola (ma
strabiliante) forma può compensare lo scarso contenuto? La risposta per questa volta è no.
Principalmente sia perché adesso tanti film riescono ad essere visivamente eccezionali ed anche
perché stavolta la storia si può definire più abbozzata che semplice.
Sarebbe curioso poter fare un altro salto nel tempo. Altri 13 anni, solo per vedere se Avatar – La via dell’acqua riuscirà a trasmettere ciò che il primo Avatar ancora riesce a comunicare oggi come
sempre. (Spoiler, ne dubito fortemente).