• Tempo di Lettura:3Minuti

di Giuseppe Esposito

La controffensiva ucraina nella regione di Kherson occidentale e nel Nord-Est di Kharkiv hanno restituito a Kiev porzioni di territorio che gli erano stati sottratti ma non la pongono nelle condizioni per negoziare su un piano vantaggioso. Di questo ne sono convinti anche alcuni funzionari dell’amministrazione americana che non ritengono sia il momento migliore per intavolare una trattativa. I colloqui “sotto traccia” tra elementi dell’intelligence USA e Russia vanno comunque avanti e tengono aperto un canale di comunicazione importante. Per gli americani sono anche l’occasione per evitare escalation e comprendere le reali volontà di Mosca per un cessate il fuoco. Questo sarà possibile solo se Russia e Ucraina lo vorranno ma soprattutto quando Kiev si sentirà pronta e non costretta.

Gli accordi di Minsk del 2015 hanno dimostrato come sia difficile giungere a dei patti e poi mantenerli. Infatti ci sono state violazioni sul cessate il fuoco con accuse reciproche, anni di ritardo nello scambio di prigionieri (i primi nel 2109), infrazioni sul rispetto della zona cuscinetto e così via.
Nella situazione attuale sembra che né ucraini né russi siano disposti a negoziare. Le dichiarazioni da ambo le parti andrebbero in tal senso. La situazione sul terreno e le aspettative reciproche influenzano le decisioni.

Per l’Ucraina l’avvio di negoziati con la Russia equivarrebbe ad una capitolazione di fronte ad un nemico in difficoltà. Alcuni tentativi di persuasione da parte occidentale non convincono l’Ucraina che, è bene ricordarlo, è stata invasa ed aggredita. Kiev dovrebbe sedersi al tavolo in un momento in cui: non controlla la parte meridionale di Kherson, dalla sponda sinistra del Dnipro in giù, che si collega alla Crimea occupata dal 2014; non gestisce la centrale nucleare di Zaporizia che è in grado di raggiungere 42 miliardi di kWh di elettricità, pari ad un quinto della produzione annuale di elettricità nel paese; ha perso il Mar d’Azov e gran parte del Donetsk e Lugansk.

Mosca, dall’altra parte, si siederebbe al tavolo delle trattive con in mano poco di più rispetto a quello che aveva prima del 24 febbraio di quest’anno e senza aver raggiunto gli obiettivi che si era prefissato con l’“operazione militare speciale”. Putin è un leader che aveva immaginato una marcia trionfale di poche settimane ma dopo nove mesi, sotto la resistenza e la controffensiva ucraina, si ritrova con un isolamento esterno ed un’economia in forte difficoltà. Se da una parte il capo del Cremlino potrebbe non volere le trattative, dall’altra parte gli farebbe comodo un accordo di cessate il fuoco, sapendo poi di violarlo, perché: potrebbe riorganizzare il suo dispositivo, come sta già facendo nel Lugansk, Donetsk e Zaporizhia; si rifornirebbe di armi e munizioni dall’estero (Iran e Corea del Nord); potrebbe addestrare altri richiamati e coscritti; gestirebbe meglio l’informazione interna con la regolamentazione delle reti di social media, cinema online, motori di ricerca e mercati su Internet. Con queste considerazioni c’è da fidarsi di un Putin, “quasi” all’angolo, per un cessate il fuoco?

La mediazione tra Ucraina e Russia è molto complicata e il cammino per portare Kiev e Mosca ad un tavolo delle trattative è irto di ostacoli. La diplomazia si trova difronte ad interessi generali contrapposti ed il suo ruolo è quello di cercare di trovare un punto di incontro tra le parti.
Ma come può l’Ucraina trattare a cuor leggero con chi ha messo il piede sul suo suolo distruggendo tutto ed uccidendo? A questo solo il tempo ci darà risposta.