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Trenta anni dopo il tragico omicidio di Antonella Di Veroli, consulente del lavoro 47enne, trovata cadavere nel suo appartamento di via Domenico Oliva a Roma, due nuovi elementi potrebbero finalmente riaprire il caso. La famiglia della vittima, rappresentata dalla sorella Carla e dalla nipote, ha lanciato un appello dallo studio di ‘Chi l’ha visto‘ affinché gli organi inquirenti riaprano l’inchiesta. Questo appello è stato formalizzato con una deposizione di 33 pagine presentata dall’avvocato Giulio Vasaturo presso la Procura della Repubblica di Roma.

L’Omicidio di Antonella Di Veroli: La “Donna nell’Armadio”

L’omicidio di Antonella Di Veroli risale al 10 aprile 1994. Dopo quel giorno, la consulente smise di rispondere al telefono, preoccupando la sorella Carla, che andò a cercarla nel suo appartamento di via Domenico Oliva, nel quartiere Monte Sacro di Roma. L’appartamento era vuoto ed in un insolito disordine, fatto che spinse Carla a chiedere aiuto.

Poche ore dopo, Umberto Nardinocchi, ex compagno e socio in affari di Antonella, entrò nell’abitazione insieme al figlio e a un amico ispettore di polizia. Anche loro notarono il disordine, intuendo che qualcosa di grave fosse accaduto. Nardinocchi tornò nell’appartamento a mezzanotte senza ottenere risultati. La mattina seguente, il 12 aprile 1994, Carla e suo marito, muniti di guanti di gomma per evitare di contaminare eventuali indizi, entrarono di nuovo nell’abitazione.

Fu allora che fecero la macabra scoperta: l’armadio della camera da letto aveva un’anta sigillata con il mastice. Forzata l’apertura, sotto un cumulo di vestiti trovarono i piedi di Antonella. Giaceva priva di vita in posizione fetale, indossando un pigiama e con un sacchetto di plastica che ne copriva la testa.

Dettagli del Crimine

Antonella Di Veroli era stata drogata con un farmaco che l’aveva addormentata, poi colpita da due colpi di pistola alla testa e infine soffocata. La causa della morte fu asfissia. Dai referti risultava chiaro che Antonella aveva aperto la porta al suo assassino.

I Sospettati Iniziali: Umberto Nardinocchi e Vittorio Biffani

Gli inquirenti seguirono inizialmente una pista passionale, concentrando le indagini su Umberto Nardinocchi e Vittorio Biffani. Quest’ultimo, un fotografo 51enne a cui Antonella aveva prestato 42 milioni di lire, denaro mai restituito, fu incastrato dalla prova dello stub, risultata positiva. Tuttavia, mentre Nardinocchi aveva un alibi solido, Biffani fu rinviato a giudizio insieme alla moglie, accusata di aver estorto denaro alla vittima con l’inganno.

Nel 1997, entrambi furono definitivamente assolti. La prova dello stub si rivelò inattendibile, essendo stata eseguita da un agente inesperto, e quindi non idonea a incriminare Biffani. Il test dello stub serve a provare se si è sparato. E’ capace di rilevare la presenza di microparticelle sulla mano e anche sugli abiti. Lo possiamo definire come una sorta di tampone con un adesivo speciale capace di catturare la presenza di microframmenti di piombo, antimonio e bario.

I Nuovi Elementi per la riapertura del caso di Antonella

Le 33 pagine dell’istanza depositata dall’avvocato Vasaturo richiedono il riesame dei reperti raccolti durante le prime indagini con le moderne tecnologie forensi. Due nuovi elementi emergono come potenziali svolte nel caso.

Il primo è un bossolo trovato nella stanza del delitto, che potrebbe contenere impronte digitali o tracce biologiche dell’assassino. Il secondo riguarda una telefonata partita dall’appartamento della vittima per prenotare un taxi dopo l’omicidio. Gli investigatori dell’epoca non riuscirono mai a identificare il tassista contattato, ma oggi questo potrebbe fornire una nuova pista.

La Richiesta della Famiglia

Carla Di Veroli e sua nipote, attraverso l’appello mediatico e legale, sperano che questi nuovi elementi possano finalmente portare alla riapertura del caso e all’identificazione dell’assassino di Antonella. Gli elementi presentati, tra cui le impronte digitali sul bossolo e la misteriosa telefonata, potrebbero infatti essere cruciali per risolvere il giallo della “donna nell’armadio“.

Con le nuove tecnologie e metodologie investigative, la speranza della famiglia Di Veroli è che giustizia possa finalmente essere fatta per Antonella, ponendo fine a trent’anni di dolore e incertezza.

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