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Solo nel 2023 sono state uccise 105 donne per mano di uomo con cui avevano un rapporto intrapersonale. 105 donne sono state brutalmente accoltellate, soffocate, bruciate, picchiate fino alla morte da un fidanzato, marito, ex, parante o collega di lavoro. Queste sono solo le donne a cui vita è stata resa cenere. La violenza di genere in tutte le sue sfaccettature, invece, risulta essere in costante crescita con l’aumento delle denunce da parte delle vittime che hanno scelto di ribellarsi alla violenza sistemica perpetuata ormai da troppo tempo.

Secondo i dati Istat, 1 donna su 3 è vittima di stupro o violenza di genere. Questo risulta essere un gran marcatore di consapevolezza, ben ignorato dalle nostre istituzioni, del grave problema culturale che ingombra sulla coscienza collettiva. Ancora più grave è la consapevolezza che l’età media di ogni femminicidio si è ridotta di gran lunga: molte di queste vittime hanno meno di 30 anni, dato che sottolinea l’ancora ben radicata cultura patriarcale tra i giovani, un vecchio retaggio culturale che avremmo dovuto debellare già negli anni ’90 per le innumerevoli lotte femministe e le continue campagne di sensibilizzazione contro la violenza di genere.

Ma non è bastato.

Non è bastato a salvare Giulia Tramontano (29 anni), uccisa brutalmente dal fidanzato al settimo mese di gravidanza, Giulia Donato (23 anni) anche lei uccisa dal chi le professava amore , Yana Malayko (23 anni) uccisa dall’ex fidanzato come Giulia Cecchettin e Celine Frei Matzohl. La lista è lunga, dolorosa, massacrante. Sono circa 600 femminicidi negli ultimi 4 anni, ovvero quasi ogni due giorni viene uccisa una donna.

Questi dati, a cui speriamo di non dover fare nessun aggiornamento, dovrebbero spaventare le istituzioni, che attraverso una presa di posizione scolastica potrebbero cambiare il destino di molte ragazze. Le scuole nascono con lo scopo di educare la coscienza collettiva dei giovani, sempre più allo sbaraglio, sempre più annichiliti da rappresentazioni errate propinate, oltre che dalla tradizionale configurazione emotiva e culturale che viene proposta nelle famiglie vecchio stampo, anche da testi musicali, film d’amore tossici e video su TikTok.

L’educazione sessuale e affettiva

Molte femministe e studiose hanno proposto come soluzione preventiva l’educazione sessuale e affettiva nelle scuole. Idea che è stata ampiamente giudicata e ridicolizzata, ma mai davvero compresa. Rifiutare tale proposta per non approfondire le tematiche riguardanti la sessualità e l’affettività dei giovani, banalizzando il tutto con un semplice ”non possiamo parlare di sesso nelle scuole”, significa scegliere consapevolmente di essere complice del problema culturale e della violenza di genere.

I cambiamenti in una società partono dalla comunicazione, strumento potentissimo che dovrebbe essere un privilegio sfruttabile in una società democratica, moderna e tecnologizzata. Non è il sesso o le ideologie gender che si vogliono insegnare ai giovani, ma la consapevolezza del proprio corpo e di quello altrui. L’impegno educativo è quello di insegnare il rispetto, il consenso e la gestione dell’emozioni, sradicando pezzo dopo pezzo il retaggio culturale che ci portiamo dietro sin dalla nascita di Adamo ed Eva. Si vogliono dare gli strumenti per poter attraversare i confini dell’accettazione del proprio genere, distruggendo gli schemi della mascolinità tossica e della femminilità fragile.

Si vuole sfruttare la comunicazione per migliorare i messaggi semantici che risiedono nelle inconscio di ognuno di noi, quelli in cui si continua a sfruttare il linguaggio tossico nei rapporti intrapersonali o si utilizzano terminologie ombrello della violenza di genere, come lo slut shaming o victim blaming. Voler insegnare a non desiderare di dominare un corpo, ad abbracciare un rifiuto e imparare l’arte dell’empatia e della responsabilizzazione non possono essere banalizzati al semplice atto sessuale. Servono azioni concrete per debellare il problema culturale della collettività. Non basta più dire alle donne di stare attente al lupo.