La giustizia per Giulio Regeni, il ricercatore italiano ucciso in Egitto tra il 25 gennaio e il 3 febbraio 2016, potrebbe essere il più bel regalo di questo 2020. In questi giorni stanno emergendo importanti retroscena riguardo la mancata collaborazione della procura del Cairo con quella italiana.
L’indisponibilità della procura egiziana
La procura del Cairo ancora una volta ha negato aiuti di collaborazione per far chiarezza sul caso Regeni. Gli inquirenti egiziani hanno motivato la scelta affermando che “per il momento non c’è alcuna ragione per intraprendere procedure penali circa l’uccisione, il sequestro e la tortura della vittima Giulio Regeni, in quanto il responsabile resta sconosciuto”. Decisi a perseguire su due linee di giudizio diverse, le due procure hanno asserito che non ci sono più motivazioni per continuare ad avere rapporti diplomatici.
L’origine dei fatti è da rimandare a qualche mese fa. Il tribunale italiano aveva ottenuto una rogatoria per l’indagine di 4 membri della National Security. Membri che a detta di alcuni testimoni, sono stati avvistati con il giovane Regeni o ne hanno parlato.
Il governo egiziano, però, restando della propria idea e affermando che “non ci sono i presupposti per l’indagine” ritenne di non inviare documentazione con relativi dati di domicilio dei suddetti indagati. Questa scelta, giudicata ingiusta dalla procura italiana, ha evidenziato oltremodo una impossibilità nell’invio delle notifiche necessarie per mandati di comparizione e incartamenti del caso.
Giulio Regeni: le due strade diverse intraprese dalle procure
La stessa procura egiziana sosteneva, e lo fa tuttora, che ad uccidere Giulio Regeni non fossero stati membri del servizio di sicurezza nazionale, bensì esterni che hanno provato a depistare le indagini con mosse che riconducessero ad un crimine governativo.
Per questo motivo gli stessi inquirenti del Cairo proseguono una causa per “furto aggravato”, relativa al rinvenimento di alcuni effetti personali del giovane ricercatore all’interno di una abitazione. La stessa abitazione nella quale erano presenti i presunti colpevoli dell’omicidio Regeni che furono “prontamente” uccisi dalle guardie egiziane.
All’Italia questo non va più giù e dopo vari tentativi di collaborazione e richieste di documentazioni mai pervenute, la scelta è stata quella di interrompere le trattative con lo stato nordafricano. Proprio agli inizi del mese corrente l’incontro tra il presidente del consiglio Giuseppe Conte ed il capo di stato egiziano al-Sisi non era terminato nel migliore dei modi.
La causa è da rimandare alle “falle nel quadro probatorio” per cui, nella nota del 30 novembre scorso, la procura egiziana aveva già preso la sua posizione negando aiuti a quella italiana.
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La richiesta di Claudio e Paola Regeni
Molteplici volte i genitori di Giulio hanno provato a comunicare al governo italiano di ritirare l’ambasciatore italiano in stanza al Cairo.
Inoltre in una lettera rivolta al presidente egiziano i genitori del ragazzo hanno esplicitamente mostrato il loro disappunto ad al-Sisi e alle modalità di gestione della questione.
La motivazione dei genitori di Giulio era legata principalmente al fatto che quella di ritirare l’ambasciatore fosse l’unica strada percorribile per la giustizia. Una giustizia che ha a che fare con i diritti umani, contro un paese come l’Egitto che vede sempre più, sotto la dittatura del presidente al-Sisi, una difficoltà concreta nella libertà di espressione e di tutto il panorama degli human rights.
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I social per Giulio
#GialloGiulio è la campagna avviata su Twitter, tempestato di sfondi gialli con il nome del ragazzo. Uno spiraglio di giustizia si sta aprendo.
L’indignazione del web è palpabile: le dichiarazioni della procura egiziana sono offensive e denigratorie per la Costituzione Italiana. Ci vuole un atto di forza per mostrare che il governo Conte può dominare la situazione.
La risposta del presidente della camera Roberto Fico su Facebook è stata tempestiva: “Ancora una volta l’Egitto dimostra di non voler collaborare per fare luce sulla morte di Giulio Regeni. L’ennesima provocazione, inaccettabile, arriva oggi. Le motivazioni per cui la Procura egiziana non è intenzionata ad aprire un processo sul sequestro, la tortura e l’uccisione del nostro ricercatore sono vergognose. Mentire sapendo di mentire. Per questo la Camera ha sospeso le relazioni diplomatiche con il Parlamento egiziano. A tutto c’è un limite”. Ribadendo la mancanza di chiarezza dell’Egitto sul caso.
Intanto l’ulteriore polemica nasce sugli accordi di compravendita bellica che lo stato italiano ha con l’Egitto. Si parla di cifre che si aggirano attorno gli 11 miliardi di euro. Uno dei motivi per cui gli accordi con al-Sisi sono continuati per tutto questo tempo nonostante l’omicidio di Giulio Regeni.
La verità per Giulio Regeni apre uno scenario per il quale ONG come Amnesty International lottano da tempo. I diritti umani e la necessità della chiarezza riguardo avvenimenti come quello del giovane Regeni sono di interesse mondiale. Giulio fu ritrovato morto il 3 febbraio 2016 in una fossa lungo la strada del deserto Cairo-Alessandria; con il volto sfigurato e molteplici segni di inenarrabili torture lungo tutto il corpo.
La battaglia di Amnesty e dei genitori di Giulio Regeni riguarda tutto il mondo, non solo chi è stato colpito.
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