Come scriveva Woody Allen “si dovrebbe iniziare morendo, e così il trauma è bello che superato”.
Bisognerebbe quindi sapere cosa ci aspetta ma soprattutto cosa perdiamo.
Conoscere la felicità per poi averne così tanta nostalgia da continuare a cercarla e riconoscerla in ogni piccola cosa. Così ci dice Servillo.
Non ci viene data una seconda possibilità, o meglio, non sempre, e nel dubbio, la prima non andrebbe mai sprecata.
Siamo fatti di debolezze, di errori. Non sempre ciò che ci viene raccontato come perfetto lo è. Persino un genitore può farci male. E il dolore non è un’unità di misura.
Possiamo tendere una mano a chi ci sta accanto e aiutarlo a vedere. Non è detto che tutti vogliano riuscirci. Non tutti vogliono essere salvati.
Siamo nati liberi. Liberi di salvarci o di salvare.
Il primo giorno della mia vita, nuovo film di Paolo Genovese, è un film per pensare. Due ore di riflessione. Un tuffo nel profondo di sé stessi. Andata e ritorno in tutta la natura umana. Pulizia profonda delle sovrastrutture e dei condizionamenti etici-religiosi.
Servillo è un angelo o qualcosa del genere, Valerio Mastandrea è un uomo in caduta. Servillo è evoluzione di un uomo giusto che “torna” a testimoniare la Grande Bellezza della vita terrena. Mastandrea lo diventerà.
Educare. Insegnare e di per sé salvare.
4 anime perdute, sospese tra la vita e la morte. Alcuni vanno, altri restano. Alcuni restano e sfidano la caducità della natura umana altri ne rimangono schiacciati.
Bel film. La crisi del cinema italiano non dipende dalla scarsità delle idee, tantomeno da attori, registi e sceneggiatori. È altro. È cosa sociale ma ne tratteremo altrove.
Bel film, andatelo a vedere.
(Commento introduttivo di Melania La Pasta)