-di Luca Nappo
Dopo che nell’ultimo mese ci siamo concentrati su film che hanno segnato il passato delle grandi nomination di quest’anno è il momento di tornare alla nostra amata sala del cinema.
Sullo schermo ci aspetta un’opera che però non si può dire che rispecchi a pieno le capacità del suo regista.
Armageddon Time – Il tempo dell’apocalisse, l’ultima fatica di James Gray.
Questo autore americano negli ultimi anni si è messo in mostra con buoni film (Civiltà perduta, C’era una volta a New York, Two lovers) ma anche con dei piccoli capolavori come Ad Astra in cui l’idea che la società possa controllarci con le sue aspettative viene completamente distrutta e ricostruita in una perfetta storia che sfiora il mito.
Ritornando al presente però, il nuovo film del regista newyorkese, in sala dalla scorsa settimana, è una storia di crescita personale che riflette sull’importanza della famiglia, dell’eredità culturale (tema carissimo a Gray) ma anche sull’amicizia il tutto immerso nella cornice del classico sogno americano.
Paul – Banks Repeta – figlio più piccolo dei Graff, una comune famiglia borghese del Queens, deve districarsi tra i propri sogni e le ambizioni che i suoi genitori – Jeremy Strong e Anne Hathaway – ripongono su di lui. Mentre si scontra con il sistema scolastico Paul trova in un Johnny – Jaylin Webb, un suo compagno di classe di colore, un amico con cui compiere le proprie scorribande e che gli permetterà di comprendere, in modo un po’ banale e prevedibile, cosa vuol dire essere un ragazzino afroamericano nella ruggente America degli anni ’80 che acclama a gran voce l’ascesa di Ronald Reagan.
Per quanto però questo racconto sia chiaramente molto legato alla vita personale del regista nel metterlo in scena Gray non riesce a trasmetterci davvero tutta la forza narrativa che lo ha contraddistinto nelle altre sue pellicole. Le dinamiche familiari tossiche, il razzismo, l’antisemitismo e tutti gli altri peccati dell’americano medio scorrono davanti agli occhi di Paul che, anche con la sua più che discreta interpretazione, non riesce davvero scontarsi con tutto questo male.
Di pregio sono ad esempio le poche scene in cui ci è permesso entrare nella sfrenata immaginazione del protagonista adolescente. È infatti nel suo mondo fantastico che capiamo quanto Paul è davvero estraneo a tutte le follie che ci possono sembrare inscindibili da chi ha vissuto in quel periodo. Purtroppo però questa parte è più che marginale anche se avrebbe potuto dare al film un tono un po’ onirico e immaginario che si andava a scontrare perfettamente con i problemi reali e concreti che tutti ci ritroviamo ad affrontare nella vita.
Ci si ritrova quindi a non riuscire davvero ad immedesimarsi nel rimorso di Paul. Si è bloccati come lui in questa sequela di eventi discendenti che però sembrano non insegnare davvero niente né ai protagonisti né al pubblico, finendo sfortunatamente per rimestare nel solito calderone di belle parole contro cattive azioni.
Insomma Armageddon Time riesce poco più a far sentire in colpa chi lo guarda, manca quindi di un passaggio, ovvero non spiega che da questa colpa (come Gray c’ha sempre istruito nei suoi film) deve nascere la forza per cambiare le cose (come tenta di fare Percy Fawcett in Civiltà perduta) o per evitare di essere ancora vittime di un sistema malato (fine che viene riservata a Leonard in Two Lovers),
Armageddon Time