Etimologicamente la parola perfetta sarebbe “irriconoscibile”. Ovvero chi stenta a riconoscere. In questa caso: forza, grandezza e giocate. Perché il Felipe Anderson ammirato la scorsa stagione, uno da 12 gol e 9 assist su 50 partite giocate, rientra nella categoria di quelli che fanno la differenza. Quello della versione 23/24 è uno di tanti: acerbo, timido e quasi bloccato psicologicamente. Da cosa? Difficile dirlo. Sia da questioni di campo, con la Lazio che sta faticando tremendamente a trovare continuità, sia da un rinnovo di contratto che tira dietro di sé una retorica di tira e molla che ancora oggi non lascia spazio a certezze. Tradotto: c’è distanza tra domanda e offerta.
Attualmente il brasiliano guadagna 2,5 milioni netti a stagione e vorrebbe un aumento fino a 4 milioni. La Lazio gli ha detto espressamente: “Noi a 3,5 non arriviamo neanche”. Dunque che si fa? Il giocatore si mette una mano sul cuore e rimane nel club che lo ha fatto esplodere, o è l’ora di cambiare aria? A Sarri questa è una situazione che non piace e già lo ha ribadito: “La scadenza del contratto non è un problema mio”. A 30 anni inoltrati, la Lazio non è intenzionata a garantirgli un contratto duraturo, perlopiù oneroso. Dunque o si arriverà ad una stretta di mano facendo un passo indietro, da entrambe le parti, oppure le strade si separeranno a contratto scaduto.
Il che non sarebbe una buona idea per la Lazio, che incasserebbe zero da uno dei migliori giocatori della rosa. Che, sì, non starà rendendo ed è un over 30, ma almeno una decina di milioni gli porterebbe nelle casse dei biancocelesti. Dal primo febbraio, da regolamento, Felipe Anderson sarà libero, in caso di mancato rinnovo, di accordarsi con qualsiasi club per giugno. Compito della Lazio sbrigare la faccenda, per il bene di squadra e staff tecnico.