Quando per farcela bisogna essere soli
Musica mainstream
-di Daniele Amato
Il settore musicale è sempre stato uno degli ambiti artistici più spietati e improntati al profitto che siano mai esistiti.
Questo fenomeno non è mai stato legato esclusivamente alla musica moderna sviluppatasi dal dopoguerra.
Ciononostante è evidente che le innovazioni tecnologiche e la nascita di mercati sempre più immediati abbiano solo contribuito ad esacerbare questo processo.
Con la diffusione di strumenti quali radio e televisione, la competizione per momenti (anche brevissimi) di esposizione mediatica si è andata sempre più a inasprire. Fino ad arrivare ad un punto in cui in un mercato così saturo come quello musicale non ci sia quasi più spazio per la condivisione e l’unione di talenti senza secondi fini.
Le entità più colpevoli di tutto ciò sono in primis le etichette discografiche. I dirigenti hanno da subito capito che tenere i propri artisti in morse sempre più asfissianti dal punto di vista contrattuale si traduce in un maggior controllo del mercato. E di conseguenza in un maggior controllo dei prodotti proposti al pubblico.
L’altro lato della medaglia è che gli artisti in questione si ritrovano adesso a doversi sempre guardare le spalle dal prossimo in linea di successione. Terrificati all’idea di essere sostituiti, o addirittura dimenticati.
I corsi per avere un sound pro (qualsiasi cosa questo voglia dire), sono ormai più venduti dei dischi. Si cerca sempre la scappatoia per elevarsi al di sopra dei propri colleghi e per apparire più arrivati, perdendo totalmente di vista quello che era il punto di partenza.
Addentrandoci negli anni duemila diventa evidente che questa linea di pensiero ha totalmente avvelenato alcune scene della musica contemporanea. Primo fra tutti il rapgame americano o italiano che sia.
È innegabile che ogni arte sia soggetta a cambiamento. L’intento di questo articolo non è buttare un occhio nostalgico a quello che questo genere rappresentasse già solo un decennio fa.
Ma è altrettanto innegabile che più gli artisti di successo siano giovani e più l’unica idea che gli venga impiantata nella testa sia quella di fare successo, scavalcando chiunque si trovi sulla loro stessa barca.
La nuova ossessione culturale del farcela non ha tardato a ripercuotersi in un ambiente che dovrebbe essere colmo di qualsiasi sfaccettatura tranne quella dello stress dovuto alla propria posizione sociale.
Nonostante questi termini di paragone siano sempre esistiti all’interno di alcuni generi musicali, mai come in quest’epoca questa continua ricerca di appagamento materiale è riuscita a sopraffare i contenuti musicali dei vari artisti.
Prendiamo in esempio un altro recente caso mediatico, quello di Steve Lacy
Possiamo notare come la macchina del successo abbia come unico obbiettivo il gonfiare costantemente i numeri di un artista (generando profitto innanzitutto a chi sta dietro le quinte), fino a lasciarlo poi in balia di quella che è la realtà dei fatti.
Lacy ha goduto di un vero e proprio boom grazie alla viralità donatagli da Tik Tok. Il social gli ha permesso di vendere in pochissimo tempo biglietti su biglietti per le sue date dal vivo.
Arrivato però al momento dell’esibizione, il musicista si è reso conto che nessuno degli spettatori paganti conoscesse anche solo una parola di qualsiasi suo brano che non fosse quello continuamente pubblicizzato sulla piattaforma sopra citata.
Questa è una chiave di lettura cruciale da attuare nei confronti del panorama musicale mainstream moderno. Tutti i numeri, gli ascolti e talvolta anche le vendite di cui un artista possa godere tramite i frutti del proprio lavoro servono in realtà soltanto a tenere a galla la bolla mediatica che va a riempire le tasche di individui totalmente estranei a tutto ciò che significhi fare arte.
Tutto questo si contrappone agli ambienti più lontani dai riflettori.
Ambienti nei quali la collaborazione e la condivisione delle proprie creazioni sono ancora dei punti cardine del fare musica.
I piccoli locali, le scene davvero indipendenti vivono ancora della controparte terapeutica racchiusa nel mettersi in gioco in questo ambito. Nelle periferie e nelle province si continua a fare musica prima di tutto per fare tesoro dell’esperienza. Per rimanere in questi spazi. Non per scappare via inseguendo un sogno che ci viene venduto da chi non si è mai interessato di nessuno che non godesse dei suoi stessi privilegi.
È un’epoca dove produrre sta diventando soltanto un atto mirato a far girare meccanismi che portano ovunque tranne che a una soddisfazione interiore. È importante rendersi conto che la musica, così come l’arte in generale sia ancora piena di personalità che hanno voglia di produrre e creare.
Ma è ancora più fondamentale capire che bisogna riappropriarsi del significato di queste parole in determinati contesti. così da svestirle di tutta la tossicità di cui sono ormai state completamente ricoperte.
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