-di Luca Nappo
La lunga notte è passata. I grandi spiriti dell’academy hanno parlato. Ovviamente le loro scelte sono state discusse ma è indubbio che chi acclama questi Oscar appena passati come un’alba nuova per il mondo del cinema forse non si sbaglia del tutto. La grande sorpresa di quest’anno è stata infatti Everything Everywhere All at Once di Daniel Kwan e Daniel Scheinert. Detti amichevolmente The Daniels, si sono portati a casa ben 7 statuette.
Nonostante questo sia solo il secondo film dei registri la loro estetica fatta di montaggi sfrenati e il loro tono onirico ha avuto modo di consolidarsi attraverso i numerosi videoclip e spot a cui hanno lavorato dagli inizi del 2000. Il punto di svolta però è stato quando nel 2016 hanno presentato al Sundance Film Festival il loro primo lungometraggio con il quale hanno anche vinto il premio della giuria per il miglior film drammatico.
Swiss Army Man è un indagine dell’animo umano attraverso scorregge, amore, masturbazione, morte, ossessione, amicizia, solitudine, erezioni e accettazione di se.
Il metaforico viaggio che compiono i protagonisti è in realtà una profonda ricerca allo stesso delicatissima e cruda che riesce perfettamente a farci capire l’importanza dei piccoli gesti e il peso delle grandi emozioni.
Questo dramma surreale, disponibile gratuitamente su Rakuten TV, inizia con l’incontro tra Hank – Paul Dano, un naufrago in procinto di suicidarsi, e Manny – Daniel Radcliffe, poco più di un corpo inerme portato sul bagnasciuga dalle onde. Da qui si svilupperà un amicizia che definire insolita sarebbe riduttivo e che porterà questi due reietti a tentare di trovare il loro posto nel mondo.
I protagonisti saranno gli unici presenti sullo schermo per quasi tutta la durata della pellicola.
Le loro ottime e toccanti interpretazioni rendono quindi impossibile non tifare per questa sorta di antieroi che mettono a nudo tutti i loro difetti umani mentre tentano di spostarsi come corpi morti (quasi letteralmente in qualche caso) attraverso un mondo che non vede l’ora di schiacciarli, digerirli ed espellerli.
A farla da padrone è poi la fotografia molto delicata, caratterizzata da colori morbidi, che accentua il contrasto con la natura selvaggia alla base del film. Una sorta di tema tribale è anche ripreso dalla colonna sonora, un insieme di musica scat e composizioni estremamente semplici e dallo stile avventuroso che però riescono a dare animo anche ai momenti più caotici e inaspettati. La migliore fra tutti è forse Montage che addirittura nel testo cantato dai i due attori rompe la quarta parete.
Affermare che qualcosa è unico nel suo genere è sempre un po’ un azzardo. Forse però per Swiss Army Man è quasi inevitabile. Impossibile non essere colpiti dai temi altissimi, a tratti quasi vere e proprie riflessioni filosofiche, e dai momenti totalmente slapstick, il corpo umano è usato per tutto in questo film dai travestimenti alla navigazione, il tutto tenuto insieme da una vera e propria avventura a metà tra il viaggio di Ulisse e Cast Away. Insomma un grande lavoro tanto nascosto al pubblico quanto incredibile che si spera possa essere solo l’inizio di un nuovo grande modo di fare cinema.