Striscia di Gaza senza pace durante il Ramadan. Per ora nessun stop ai combattimenti. La delegazione di Israele è in Qatar per discutere i termini di una tregua. I mediatori qatarini, egiziani ed americani cercano di far avvicinare le diverse posizioni espresse da Israele ed Hamas. Si discute dello scambio di ostaggi e prigionieri, di aiuti umanitari e ovviamente della durata della pausa. I colloqui potrebbero durare settimane, forse due.
Hamas avrebbe fatto conoscere la sua posizione, un piano che prevede tre fasi:
- un primo scambio di ostaggi contro prigionieri. Fonti riferiscono di 35 israeliani in cambio di 350 prigionieri palestinesi ma forse anche di più;
- poi un cessate il fuoco permanente con rilascio di altri ostaggi, tra cui soldati, in cambio di altri prigionieri;
- infine, nell’ultima fase, Hamas riconsegnerà i corpi degli ostaggi morti in cambio della riapertura di Gaza e dell’avvio della ricostruzione.
Netanyahu considera queste richieste “deliranti”, “irrealistiche”, ma fa proseguire comunque i colloqui. C’è chi, nonostante tutto, fa trapelare un cauto ottimismo.
Gli ostaggi per Israele sono una priorità ma “forse” potrebbero non esserlo a tutti i costi. Il governo israeliano è consapevole del fatto che più giorni passano e più si entra in una zona sempre più grigia per il loro rilascio. I parenti degli ostaggi auspicano soluzioni che riportino a casa i propri cari, si aggrappano ad ogni speranza e chiedono che ci sia un accordo. Gli ostaggi sono parte di una strategia ben precisa di Hamas visto che nell’attacco del 7 ottobre li hanno volutamente catturati e portati nella Striscia. Questo è innegabile. Sono ancora 134 nelle mani dei miliziani palestinesi.
Le operazioni di Israele e gli scontri con Hamas continuano a Gaza. Una forte preoccupazione è data dalle condizioni di vita dei civili e Israele viene costantemente esortata a consentire un accesso più ampio dei soccorsi umanitari via terra. Israele su quest’aspetto è accusato di ostracismo ed il pericolo di una imminente carestia potrebbe essere evitata se ci fosse un “ambiente favorevole” per i rifornimenti di aiuti.
Ad impensierire, perché collegate alle condizioni dei civili nella Striscia, sono poi anche le intenzioni di Netanyahu di procedere su Rafah, la città del sud. Il Primo Ministro ha approvato il piano operativo dell’IDF per l’operazione di terra che prevedrebbe anche l’evacuazione dei civili verso “isole umanitarie” nel centro della Striscia. Una azione su Rafah viene preconizzata, da più parti, come una carneficina. La presenza in città e nei suoi dintorni di più un milione e trecentomila persone sfollate, oltre i residenti, fa toccare con mano una futura tragedia.
Rafah sta diventando punto cruciale delle tante divergenze tra Biden e Netanyahu. Il primo potrebbe condizionare l’uso delle armi fornite ad Israele, o quelle di altre forniture, se il secondo decidesse di procedere sulla città senza adottare adeguate misure protettive verso i civili. Un attacco su Rafah potrebbe far innescare una crisi nei rapporti USA-Israele e farebbe muovere una alleanza di vecchia data su terreni sconnessi. I rapporti tormentati tra Biden e Netanyahu non possono essere più nascosti, al di la delle dichiarazioni diplomatiche.
Le critiche però non sono solo per Netanyahu. Ci sono anche quelle verso Biden che viene biasimato di non fare abbastanza per frenare l’alleato mediorientale. Inoltre molti non comprendono cosa voglia dire il presidente americano quando parla di misure protettive e di evacuazione di Rafah prima di ogni azione sul terreno. Si chiedono come sia possibile spostare materialmente oltre un milione e trecentomila persone. Donne, anziani e bambini. Si tratterebbe di una “evacuazione” forzata.
Ma Rafah è sulla strada degli obiettivi di Israele. Netanyahu la considera l’ultimo baluardo di Hamas, dove sono ancora presenti ed operano dei battaglioni delle brigate Al-Qassam. “…entrare a Rafah…richiederà un po di tempo…” dice il primo ministro di Israele e non proseguire significa perdere la guerra. Ha anche dichiarato che nessuna pressione internazionale sarà in grado di distogliere Israele dal raggiungere i suoi obiettivi.
Molti temono che se ci dovesse essere una operazione dell’IDF sulla città ci potrebbe essere il pericolo di una escalation del conflitto da parte degli Houti e degli Hezbollah. Questi potrebbero intensificare le loro azioni, rispettivamente nel Mar Rosso e dal sud del Libano. L’IDF prende sul serio le continue minacce Hezbollah e sta focalizzando le sue attenzioni anche su quel fronte.
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