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Sinwar riceve una offerta da Netanyahu. Un salva condotto per lasciare Gaza in cambio della liberazione degli ostaggi.

Dopo l’uccisione di Isma’il Haniyeh, avvenuta per mano israeliana in Iran, è lui il capo politico di Hamas. Ha ispirato l’attacco terroristico del 7 ottobre ’23 sul suolo israeliano e per questo è il ricercato numero uno dell’organizzazione da parte di Israele.

Si nasconde nel labirinto dei tunnel sotterranei di Gaza. Ha ancora in ostaggio gli israeliani rapiti il 7 ottobre e non comunica con nessuno nei modi convenzionali conosciuti. Non usa cellulare, né internet e niente che possa farlo individuare. Anche se Hamas ha perso molto delle sue capacità militari la sua presenza e leadership ne fanno una entità temibile. Sinwar rappresenta allo stesso tempo il male ed il genio organizzativo, anche se criminale, di Hamas.

Sinwar è un uomo abile, come lo sono quelli del suo stampo. E per questo rifiuta l’offerta di Netanyahu. Sa che solo Gaza può proteggerlo da Israele. Sa che in nessun altro posto è più sicuro che a Gaza, per quanto la Striscia sia sotto assedio. Lui si trova bene e si muove con disinvoltura in quei cunicoli sotterranei, alcuni dei quali costruiti da suo fratello che pure ricopre un ruolo importante nella organizzazione.

La soluzione prospettata dal primo ministro israeliano non riporterà indietro gli ostaggi ancora detenuti da Hamas. Almeno a quelle condizioni. A Gaza si combatte una guerra asimmetrica, da una parte le forze regolari di Israele e dall’altra le milizie di Hamas e non solo. Queste ultime allora in un conflitto del genere hanno nella popolazione locale, scudo di Hamas, e negli ostaggi del 7 ottobre qualcosa che li protegge da possibili attacchi ancora più cruenti delle forze IDF. Sinwar non ha avuto difficoltà a dare ordine a sui uomini di uccidere gli israeliani catturati se le truppe IDF si avvicinano troppo a loro.

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