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-di Daniele Amato

Tra i vari momenti musicali che il 73° Festival di Sanremo ci ha offerto quest’anno, di sicuro uno di quelli più in risalto è stato il ritorno dei Maneskin sul palco dell’Ariston, accompagnati da un prestigioso ospite d’eccezione, ossia Tom Morello.

Il chitarrista newyorkese era in collaborazione con il gruppo italiano già da diverso tempo, avendo prestato le proprie doti per l’assolo del loro nuovo singolo Gossip.

Sebbene l’artista sia stato presentato e liquidato sul palco in modo abbastanza frettoloso (complice anche la logistica della scaletta della kermesse), è innegabile che la collaborazione tra i nostri connazionali ed una legenda del suo calibro segni un momento importante per la musica italiana contemporanea.

Possiamo dunque approfittare di questo evento per ripercorrere la carriera di Morello, e magari renderlo noto agli appassionati di musica più giovani. Questi, infatti, sono abbastanza lontani dagli iconici anni 90, durante i quali il chitarrista ha raggiunto il proprio picco artistico.

La carriera, lo stile e i messaggi politici.

Attivo musicalmente fin da quando aveva tredici anni, nel corso della propria carriera Morello ha pubblicato più di venti dischi tra progetti solisti e collaborazioni.

Durante gli anni novanta e i primi anni duemila, il chitarrista è riuscito a diventare una vera e propria icona, grazie anche alle sperimentazioni sonore da lui effettuate, le quali al tempo risultavano abbastanza rivoluzionarie.

Lo stile musicale di Tom Morello incorpora elementi che provengono dall’ambiente hip-hop, uniti ad un’innata propensione verso la scrittura di riff martellanti che sono rimasti facilmente scolpiti nella storia del rock mondiale.

Il segno particolare di Morello durante la propria carriera è stato senza ombra di dubbio il famosissimo Digitech Whammy, un effetto a pedale per chitarra capace di effettuare estreme variazioni sull’altezza di una nota suonata.

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Morello ha inserito il proprio sound derivante dal generoso utilizzo di questa ed altre apparecchiature all’interno di ogni progetto musicale al quale ha preso parte, tant’è che oggi è praticamente impossibile non riconoscere un suo assolo quando questo è presente all’interno di un brano.

Meritano un’importante menzione anche gli anni di attività politica che l’artista ha fatto per spostare l’attenzione delle masse su numerose ingiustizie e problemi sociali.

I Rage Against the Machine

L’attivismo politico di Tom Morello è sfociato senza ombra di dubbio nelle produzioni del gruppo più importante in cui abbia mai militato, ossia i Rage Against the Machine.

L’album omonimo della band, rilasciato nel 1992, è stato un vero e proprio terremoto culturale scatenato all’interno dell’industria musicale.

La copertina del disco la diceva già lunga, raffigurando famosa foto di un monaco buddista che si auto-immola in segno di protesta.

Il contenuto musicale dell’LP è ormai senza tempo. Fu rivoluzionario al momento del rilascio e continua ad esserlo tutt’ora, sia dal punto di vista musicale che da quello del messaggio.

Raramente nella storia dell’arte lo sconforto e la disillusione di una generazione intera sono stati così ben rappresentati attraverso il semplice utilizzo di note musicali. Il fatto che numerosi gruppi emergenti odierni (tra cui i Maneskin), continuino ancora a trarre ispirazione dai RATM è segno che il lavoro da loro svolto è semplicemente monumentale.

Cosa significa la partecipazione di Tom Morello al Festival?

Probabilmente niente. Le comparsate internazionali sono sempre state una tradizione della kermesse, ed è già evidente che l’esibizione di Tom Morello al fianco dei Maneskin non abbia poi bucato chissà quanto gli schermi dei non addetti ai lavori.

È comunque da apprezzare il fatto che un gruppo di ragazzi giovanissimi abbiano condiviso il palco con una vera e propria leggenda della musica mondiale e che l’Ariston continui a ricevere un minimo gli input di ambienti non propriamente mainstream. Di sicuro l’esposizione di Tom Morello alla televisione italiana è stato un ottimo momento per far conoscere una realtà musicale fondamentale a qualche aspirante chitarrista magari ancora più giovane dei Maneskin.

Si spera dunque che nelle prossime edizioni si continui a cercare altri nomi importanti da far conoscere al pubblico nostrano più lontano da questi generi, magari riuscendo anche a concedergli più tempo, senza che queste esibizioni si perdano nel mare di gag e segmenti che tempestano la scaletta del Festival durante l’arco di una serata.

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