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“Mi mandò il nastro dei demo, così l’ascoltai. Ho sentito tutto quel Kerouac che c’era dentro. Questa è una cosa che conosco davvero bene. Nel periodo in cui facevo l’ingegnere del suono, quando lavoravo più che altro su dischi di jazz, seduto in una stanza di motel a Miami, lavorando con un semplice registratore, avevo messo insieme un album di quattro ore su Kerouac. Poi avevo ordinato tutto quel materiale e realizzato un disco per lui.

Si intitolava The Beat Generation. Avevo parecchia dimestichezza con le opere di Kerouac, così David Geffen fissò l’incontro con Tom Waits.”

Queste sono le dichiarazioni di Bones Howe, che produsse Tom Waits per lungo tempo, iniziando il sodalizio con il cantautore californiano proprio con questo secondo disco, The Heart of Saturday Night. Ora, è opinione corrente nell’industria musicale che se il primo disco è stato un successo, il secondo sarà una delusione. Tuttavia stiamo parlando di uno degli autori di canzoni più formidabili della sua epoca, motivo per cui The Heart of Saturday Night pur non contenendo nessun brano che possa risultare una vera e propria hit, è un disco coerente e caldo, romantico e rudimentale nel suono, quanto verace e credibile in termini di storie, melodie e arrangiamenti.

Parte subito forte con un intro di piano in stile bordello di lusso di New Orleans, una roba che pare venire direttamente da un disco di Dr. John. Ma prestate attenzione ai singoli brani, perché sarà la loro somma a fare il tutto. La partenza di New Coat of Paint è il manifesto programmatico di questo secondo album pubblicato nel 1974. E se il ritmo jazzato e dinamico crea il giusto impatto per scaldare la mente e il cuore, come un buon bourbon, Waits sferra in sequenza altri colpi da manuale, già con la seconda traccia: San Diego Serenade.

Da questo momento in poi il disco prende quota e non molla fino alla sua conclusione, in termini di pathos, romanticismo, disperazione e narrazione suburbana. Puoi sentire il rombo del camion di Semi Suite, puoi cullarti sottocoperta mentre il Nostro invoca Martin Eden e ogni altro cuore coraggioso pronto a imbarcarsi nella successiva Shiver Me Timbers. Se è vero che la cifra stilistica è quella degli autori beat, Waits non nasconde la sua vocazione letteraria, che parte da Melville per approdare a Jack Kerouac, via fino alle disperate sbronze di bukowskiana memoria.

Non sono solo testi, c’è anche una grande band guidata da Michael Melvoin e catturata dall’abile Bones Howe. Il disco dopo la swingante e ritmata pioggia di diamanti che risponde al nome di Diamonds On My Windshield, assesta un uno-due che anche Ernest Hemingway avrebbe apprezzato.

Sono storie di emarginati e di anime ferite e bruciate da troppi mozziconi di sigarette non spente, dal bruciore post-sbornia e da coppie male assortite, che si incontrano e si sfiorano tra un colpo di clacson e il rumore della strada che è davvero presente in (Looking For) The Heart of Saturday Night.

Se è vero che questa produzione risulta molto li-fi, c’è da dire che i suoni sono quelli giusti e sanno descrivere al meglio ciò che l’autore sta cantando. Fumblin’ With the Blues anticipa alcune esecuzioni acide che diventeranno in seguito uno dei marchi di fabbrica del Waits post anni ottanta. Qui è tutto un prorompere di fiati, batterie con le spazzole e tanto pianoforte. Please Call Me, Baby, uno di quei brani che restano impressi, nella mente di chi almeno una volta ha vissuto una dinamica sentimentale simile a quella che l’autore ci illustra.

Conclude un brano come Drunk On The Moon, che oggi non farebbe fatica a essere definito tipicamente waitsiano per il suono, l’atmosfera e la tematica. I fantasmi del sabato sera ci danno il giusto congedo per un disco che ancora a distanza di 47 anni suona caldo, accogliente e placido, come un night club con luci soffuse e tanta voglia di dimenticare le fatiche, i rimpianti e le batoste, rimediate durante la settimana.

Un disco che brilla di luci calde e ombre hopperiane, che sanno di America vera, che per tanti di noi europei era più un sogno, che qualcosa di reale e tangibile. Le canzoni di Tom Waits sanno di quella illuminazione, che solo in certi casi possiamo provare, mentre siamo brilli, teoricamente poco lucidi.

Data di uscita del disco: 15 ottobre 1974. Etichetta: Asylum Records. La rivista Rolling Stone l’ha inserito al 339º posto della sua lista dei 500 migliori album. Durante lo scorso marzo, Tom Waits ha festeggiato i 50 anni dall’uscita del suo disco d’esordio, Closing Time.