di Luca Nappo
Quanto è difficile descrivere una passione. A volte più si conosce e apprezza qualcosa più sembra un’impresa impossibile spiegare agli altri il perché alla base di un nostro interesse. Ora immaginate essere uno dei più grandi registi degli ultimi anni che si ritrova a dover mettere su schermo tutti i motivi che lo portano ad adorare quello che fa. Ecco, Babylon non è altro che questo, un’incredibile lettera indirizzata a tutti coloro che il cinema lo vivono quasi come un bisogno essenziale ma anche a quelli che un po’ dall’esterno vedono negli occhi degli altri l’amore per la sala.
L’ultima opera di Damien Chazelle è più che un film inusuale. Uno sfavillante e sfarzoso viaggio corale ma anche una macabra e a tratti malata critica che esplora la vita di vari personaggi travolti dalla tentacolare Hollywood durante gli anni ‘20 e ‘30.
In primo piano abbiamo Manny – Diego Costa-, immigrato messicano che insegue il sogno di lavorare nel cinema e che in modo rocambolesco passa dall’essere un misero addetto al trasporto di un elefante al diventare l’aiutante di una grande star per arrivare ad assumere il ruolo di produttore esecutivo.
Gli troviamo affiancata Nellie LaRoy -Margot Robbie-, una ragazza di provincia che prima ha come unico scopo quello di diventare l’attrice del momento per prendersi una definitiva rivincita sulla vita e che dopo una serie di successi si ritrova costretta a dover cambiare per soddisfare una società ormai mutata e che più non tollera gli eccessi è le follie di cui lei è tanto dipendente.
Sullo sfondo poi ci sono tutti gli altri partecipanti della incredibile festa che è il cinema rappresentato. Da Jack Conrad -Brad Pitt-, che rincorre i gusti del pubblico alla continua ricerca dell’immortalità e di qualcuno che possa riuscire a farlo sentire come solo il cinema sa fare o anche Jovan Adepo -Sidney Palmer- un giovane jazzista di colore che mettendocela tutta si ritrova sulla cresta dell’onda ma che non è disposto a vendersi del tutto per rimanerci.
Abbiamo quindi dei presupposti che possono sembrare semplici o scontati ma la cui messa in scena, nonostante le eccellenti interpretazione da parte di praticamente l’intero cast, risulta a volte un po’ caotica o a tratti stucchevole, forse anche a causa dei vari cambiamenti di stile nella narrazione o per la durata totale della pellicola.
Questi piccoli difetti non sono altro però che il preludio ad un incredibile quanto inaspettato finale. In un magico ed ultimo salto temporale ci ritroviamo ancora una volta al fianco di Manny e con lui abbiamo la possibilità di assistere ad una proiezione di Cantando sotto la pioggia. Improvvisamente lo schermo sembra quasi preso in ostaggio, invaso da un qualcosa a metà tra una visione e un presagio che in un crescendo assoluto ci trasmette la vera la forza della settima arte spiegando a noi come al protagonista quanto tutto quello che abbiamo vissuto insieme fino a questo momento non è altro che un estremo sacrificio necessario a far si che la magia del cinema possa vivere in eterno.