Venuti al mondo di Carlo Maria Simone
Si può diventare grandi senza un padre? Si può crescere con un padre sbagliato?
Lui e lei hanno diciotto anni. Lui ha dentro le ombre della Valsassina dove è nato e cresciuto, lei si porta dietro il mare di Pescara e la sua luce. Che improvvisamente si spegne. Quando un giorno suo padre non tornerà più a casa. Lui e lei s’incontrano all’ultimo anno del liceo, a Lecco dove la madre ha portato lei e le sue sorelle per ricominciare. Dove lui vive con sua madre, o con quello che ne resta, dopo che suo padre, pieno d’alcol, è finito in galera per avere ammazzato un uomo. Ma forse, quel padre, non era nemmeno il suo vero padre.
Il racconto di Carlo Maria Simone ripercorre le strade che li hanno portati lì e a cui qui, in poche righe, è quasi impossibile anche solo accennare. La scrittura si sviluppa con una bella regia i cui fondamenti il narratore mostra di padroneggiare con sicurezza: in dissolvenze, richiami, anticipazioni e flashback, in una bella struttura a capitoli brevi, con alternanza dei tempi, si dipana una vicenda ricchissima di avvenimenti, tanto per l’una che per l’altro. E poi per i due insieme. Il ritmo del racconto rimane sempre teso, anzi capita di essere quasi travolti dagli avvenimenti, molto spesso crudi e drammatici, inaspettati e quasi sovrabbondanti. Certamente duri da affrontare da parte dei due ragazzi che ne potrebbero rimanere schiacciati, sovrastati. Come talvolta capita, con reazioni e sentimenti di delusione, sconforto, senso di abbandono da parte loro.
I due giovani protagonisti sono dipinti in modo vivissimo, parlano e respirano come i ragazzi veri, lontani dalle macchiette giovanilistiche che in tanti libri e anche film sull’adolescenza ci tocca di leggere: nel racconto della tragedia e delle asperità dell’esistenza, capita spesso di vedere romanzi che non sono in grado di lasciare che le cose opache brillino sotto la luce della scrittura. Qui invece accade. Perché c’è uno sguardo, innanzitutto, che è capace di stare esattamente nello sguardo di chi vive sulla pagina. E non sto parlando degli occhi dei personaggi che, con una buona tecnica, un bravo scrittore è in grado di portarsi dentro e rendere in modo adeguato. Lo sguardo di cui parlo ha a che fare con la pìetas, con l’abbraccio totale e incondizionato con cui, chi scrive, avvolge i suoi personaggi, buoni o cattivi, e la loro vicenda.
Il libro di Carlo Maria Simone vive tutto dentro questo sentimento che abbraccia anche i luoghi, i paesaggi, le cose: ci sono straordinarie pagine in cui la descrizione diventa protagonista e la lingua si fa carezza sulla terra, sulle acque del lago. O diventa lama che taglia, luce che acceca, buio che inghiotte. Tutta la storia è raccontata con una scrittura capace di aderire alle cose. Come già si avverte nell’incipit del romanzo:
