Com’era inevitabile dopo il tonfo contro il Bologna, ennesima figuraccia di una stagione veramente imbarazzante, Aurelio De Laurentiis è stato il primo a finire sul banco degli accusati. Le ragioni dietro la pessima amministrazione del post scudetto sono molteplici. Uno degli esercizi preferiti di chi tenta arzigogolate spiegazioni su cosa sia andato storto è immaginare che campionato avrebbe fatto i Campioni d’Italia qualora il produttore romano avesse assunto un “allenatore vero”. Quindi, per una parte consistente di tifosi e addetti ai lavori, il primo responsabile rimane il proprietario del Napoli. Cui viene imputato di comportarsi da padre-padrone con la “sua” creatura.
Lui non fa niente per scendere a compromessi. E alla stregua di un vampiro emotivo, risucchia gli addebiti che haters e detrattori assortiti, dopo quest’annata sempre più numerosi, gli vomitano contro. Del resto, la sua lunghissima presidenza è l’antitesi della diplomazia apparente che il calcio italiano cerca di mantenere. Al contrario, ADL sembra cavalcare in maniera naturale il ruolo: un po’ attaccabrighe, che litiga con chiunque cerchi di dissuaderlo da certi approcci sopra le righe. Ma anche visionario, in grado di anticipare i tempi, rispetto molti suoi colleghi. Riuscendo nell’impresa straordinario di precorrere idee e concetti oggi assai di moda. In primis, la gestione virtuosa, nonché la sostenibilità economica-finanziaria del “Sistema”.
A completare il quadro, all’orizzonte c’è la sfida decisiva L’apertura di un nuovo ciclo: già preso il direttore sportivo, a breve arriverà pure il momento di scegliere l’allenatore, ma appare evidente che sarà necessario un pesante repulisti nello spogliatoio. Tra le cose da cassare definitivamente proprio l’imborghesimento che ha trasformato lo spirito di alcuni azzurri. Fanno tanto i moralisti, assieme ai loro agenti. E con la sponda complice di qualche giornalista “amico”, si riempiono la bocca di aggettivi dal forte valore simbolico – essere professionisti -, però a furia di parlarne, magari poi non hanno il tempo di praticarla, l’etica del professionismo.
Adesso tutti credono che forse basterà solo rinnovare profondamente la rosa per superare la crisi di quest’anno, ribaltando la sgradevole sensazione di ridimensionamento che attanaglia l’ambiente partenopeo. Nel frattempo, Don Aurelio non cambia il suo atteggiamento. Attanagliato da quella sindrome da Marchese del Grillo, egocentrico e accentratore, tendenzialmente portato a ignorare qualsiasi confronto con chi non la pensi come lui.
Solamente così, infatti, deve essere interpretato il silenzio stampa imposto dopo il match con i felsinei. Una vacatio che alimenterà “voci di dentro” e spifferi vari dei soliti noti, che spacciano le loro illazioni personalissime per oro colato. Come se avessero chissà quale gola profonda che li aggiorni direttamente dalle segrete stanze di Castelvolturno. Invece sarebbe bastato un gesto semplice del presidente. Nondimeno capace di tranquillizzare una piazza tremendamente impaurita dal futuro. Censurare pubblicamente pigrizia e menefreghismo dei calciatori, manco aspettassero null’altro che la fine del campionato per andare a cazzeggiare a Ibiza. E affermare che sarebbe rimasto all’ombra del Vesuvio soltanto chi merita.
Non l’ha fatto, proseguendo sulla classica falsa riga del “Io so’ io, e voi non siete un c… ”.
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