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Una baraonda. Nessuna definizione si adatta meglio alla situazione attuale del Napoli, che descrive perfettamente la gestione del post scudetto da parte di Aurelio De Laurentiis. Il giudizio sulla esperienza di Mazzarri alla guida degli azzurri, dunque, non può prescindere dal pressappochismo con cui la proprietà ha scelto il sostituto di Garcia a novembre.

La severità delle statistiche condanna il toscano, visto che ha raccolto la miseria di 15 punti in 12 partite. Mentre il suo predecessore fu messo alla berlina nonostante il quarto posto, frutto dei 21 punti conquistati nelle prime 12 giornate di campionato. Solo la supponenza del presidente poteva immaginare che il gioco obsoleto dell’allenatore di San Vincenzo potesse risultare veramente efficace, per tirare fuori i Campioni d’Italia dal torpore – calcistico e mentale – in cui erano precipitati durante il breve regno dello “stratega d’Oltralpe”.      

Ad aggravare la sensazione che la squadra partenopea fosse stordita delle “intuizioni” tattiche di Garcia, il calcio sgraziato del suo successore. Se è vero che molte delle partite col francese in panchina non avevano offerto alcun segnale di benefica novità, rispetto alla macchina perfetta dei mesi precedenti – ad eccezione, ovviamente di una logorante mancanza di intensità -, probabilmente nessuno, all’ombra del Vesuvio, era preparato ad una così evidente manifestazione di pochezza del Mazzarri-bis.

Giunto alla fine della sua parabola, perché la diffidenza stava logorando i tifosi. Una situazione indifendibile anche per quella parte della critica che per lungo tempo l’ha sostenuto in maniera (quasi…) incondizionata, al cospetto di un Napoli ai limiti del patetico. Talvolta mediocre con la palla tra i piedi. Spesso tremendamente confusionario in fase di non possesso.

Cinismo vs logica

Una decisione sfacciatamente cinica il ritorno di Mazzarri. Il presidente aveva fatto una scommessa, giocandosi la carta del felice ritorno. Adesso l’addio malinconico del novello “figliol prodigo” spalanca le porte di Castelvolturno a Calzona. Chiaro, in questo scenario, l’orientamento della proprietà. Logica vuole che si tenti l’ultimo azzardo disperato, per salvare almeno il salvabile. Effettivamente, gli obiettivi sono ancora appesi a un filo sottile. Il quarto posto è lontano, ma non lontanissimo. Trascurando per un attimo le tante squadre che ci sono in mezzo. Il Barcellona rimane més que un club, altro che crisi di identità. Nondimeno, con le dovute proporzioni, pure loro sembrano ridotti ai minimi termini, rispetto alle ambizioni di inizio stagione.

Insomma, tocca a Calzona riempire il vuoto lasciato dal traghettatore toscano, usato da Adl come un semplice parafulmini della sua politica fortemente accentratrice. Nella speranza che il commissario tecnico della Slovacchia si riveli finalmente una sorta di balsamo taumaturgico per il contesto assai depresso in cui si cala, in quanto titolare di un grosso credito emotivo. Del resto, conosce Castelvolturno come le sue tasche, avendo già lavorato a stretto contatto con Sarri e Spalletti. Personalità capaci di occupare a modo loro lo spazio che li circondava.

Chissà che per il fido collaboratore di due leggende della panchina partenopea non sia giunta l’ora di prendersi la scena. L’occasione è unica, perché se il Napoli dovesse invertire il trend negativo, sarà esclusivamente merito suo.  

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