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Per l’ennesima volta in questa stagione maledetta il Napoli è stato incapace di trovare risposte adeguate ai suoi dubbi, mentali prim’ancora che calcistici, cedendo punti preziosi anche al Frosinone. Un avversario che si è rivelato all’altezza delle necessità connesse a una situazione di classifica deficitaria, ergo inappuntabile nell’applicazione di un piano gara funzionale a fare punti al “Maradona”.

Lecito immaginare l’atteggiamento della squadra ciociara guardingo, orientato a cercare innanzitutto di limitare i danni, lasciando l’iniziativa ai padroni di casa. Al contrario, sin da subito Di Francesco ha adottato un approccio assai aggressivo, pressando in ogni zona del campo. Serve tanta disciplina tattica per giocare come hanno fatto i gialloblù. L’intuizione dell’allenatore dunque è stata corretta. Dimostrando che le idee contano non poco, quando decidi di andare in avanti sulla costruzione del gioco altrui, invece di aspettare nella propria trequarti. Disarmante, specialmente nella ripresa, la facilità con cui gli ospiti recuperavano palla e gestivano la transizione.  

Sorpresi dall’aggressività

Inizialmente il Frosinone accoppiava Soulè con Cheddira, mandandoli entrambi sui centrali, mentre Brescianini si occupava con particolare attenzione del metodista. Dietro, preoccupati dallo sviluppo sulle catene, dove si concentra buona parte della qualità partenopea, Zortea e Valeri saturavano le fasce, “fissando” la posizione degli esterni. Mentre Mazzitelli e Barrenechea accorciavano sulle due mezzali napoletane.

Eppure, il motore del Napoli, senza davvero un piano alternativo al tradizionale giropalla lento e talvolta troppo orizzontale, non si è inceppato. Perché la scelta di affrontare il pressing predisposto dall’allenatore degli ospiti utilizzando Meret per verticalizzare immediatamente su Osimhen, piuttosto di amministrare il possesso, provando a risalire il campo con le triangolazioni sul breve, sembrava perfetta. Gli azzurri, infatti, trovavano risposte adeguate alla pressione alta proprio attraverso i lanci del portiere. Dando l’impressione di poter arrivare facilmente al gol. Le parate di Turati sono frutto della superiorità – numerica e posizionale – che gli uomini di Calzona riuscivano comunque a creare spostando il pallone da un lato all’altro. I ribaltamenti del fronte d’attacco garantivano la copertura dei “mezzi spazi”, con gli inserimenti continui di Anguissa alle spalle dei centrocampisti frusinati.

E l’ampiezza con Politano e Kvaratskhelia, veri protagonisti del match: uno nel primo tempo, l’altro nella ripresa. L’esterno il loro habitat naturale. Schierati a piede invertito, prendevano l’iniziativa e si accentravano, provando a cambiare completamente registro alla fase offensiva. In ogni caso, non basta occupare gli spazi tra le linee. Bisogna saperli dilatare con lucidità, sfruttando le abilità nei fondamentali. Esaltante quindi l’azione con cui Matteo ha innescato il primo vantaggio, arrivando a calciare il diagonale vincente. La freddezza nello stringere con prepotenza, così da ottenere un canale per prepararsi il tiro, non ha permesso al Frosinone di depotenziare la classica giocata dell’ex Sassuolo. Nonostante gli avversari sapessero esattamente cosa aspettarsi.  

Cortocircuito mentale

Quella raccontata finora sembra la cronistoria di una vittoria schiacciante. Com’è possibile allora che il Frosinone l’abbia ribaltato, ben due volte. Il fatto è che vale poco il dominio dell’attrezzo se non lo traduci in tante reti. Soprattutto se una squadra fragile mentalmente palesa tutte le sue incertezze, regalando letteralmente il primo pareggio. Emblematico che sia arrivato da una giocata nata dal pressing eseguito alla perfezione sull’ennesimo lancio di Meret. Che da lì in avanti ha generato un cortocircuito nella testa e nelle gambe del Napoli. Ma senza la goffaggine del suo portiere, è difficile che la partita avrebbero preso una china tale da invertire radicalmente la sua china naturale.    

Nondimeno, fino a quel momento non c’erano avvisaglie di pericolo. Poi l’Airone azzurro ha deciso di rievocare il fantasma della sua peggiore prestazione in maglia azzurra (Empoli due stagioni fa), dando il via a una scelta catastrofica, tanto fuori contesto, che ha portato al pari di Cheddira. All’apparenza innocuo il passaggio di Rrahmani. Forse all’orizzonte il kosovaro non ha intravisto potenziali avversità. L’estremo difensore partenopeo è in pieno controllo, ma inopinatamente scopre la palla, nel vano tentativo di calciare col sinistro. Peccato che Soulè si fosse già avvicinato troppo, chiudendogli la linea di passaggio. Poco reattivo il rilancio di Meret, subito intercettato dal marocchino, e convertito nell’1-1.  

Il Napoli non ha reagito male, continuando ad attaccare. Trovando pure il modo di tornare in vantaggio. Dilapidato ancora una volta da una leggerezza collettiva in fase di non possesso.

Au revoir Napoli

Paradossalmente, la genesi del 2-2 è una conseguenza della voglia di non gettare mai la palla, insistendo nella famigerata costruzione bassa. A conti fatti, una costante del calcio espresso dai Campioni d’Italia (sic…). Alla disperata ricerca dello scarico preciso, Meret cerca di servire Kvara all’altezza del centrocampo, defilato sul lato. Il georgiano non ha minimamente messo in ombra Lirola, che intercetta liberamente il pallone, prolungandolo a Soulè. L’argentino ha pensato di stimolare in profondità l’accorrente Zortea. Da una situazione senza reali vantaggi, alla sovrapposizione del terzino si è aperta l’intera metà campo.

Evidenti le responsabilità di Mario Rui, rimasto colpevolmente nella terra di mezzo. Meglio temporeggiare, se non addirittura scappare celermente all’indietro, assorbendo la corsa in profondità. Saltato il portoghese per inerzia, manco il campo fosse in discesa, sul cross perfetto, puntuale è arrivata la chiusura di testa di Cheddira. Che impatta con il giusto timing. Inaccettabile tuttavia la dormita colossale di Rrahmani, in ritardo per tamponarlo e chiudere la diagonale difensiva.    

Insomma, l’esultanza del Frosinone condensa la pena dei tifosi napoletani, consapevoli di quanto questo gruppo sia ormai giunta al capolinea del suo ciclo, che ha una data di scadenza sempre più vicina. Una malinconia cristallizzata dalla iniziale commozione di Luciano Spalletti, accomodato in tribuna in qualità di Commissario Tecnico. Quegli occhi lucidi immortalati dal maxischermo portano lontano da Napoli i protagonisti della cavalcata trionfale della passata stagione, culminata con uno scudetto strameritato. Cancellando definitivamente l’illusione di poter salvare il campionato, piazzandosi in zona Coppe.   

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