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Nessuna squadra in Serie A ha mai avuto un rendimento peggiore del Napoli dopo aver vinto lo scudetto. Già questo sconfortante dato statistico basterebbe a fotografare l’imbarazzante campionato vissuto con il tricolore cucito sulla maglia. Nonostante gli indiscutibili sprazzi di brillantezza raggiunti in rarissimi momenti. Se tutto ciò non fosse sufficiente, niente è più adatto della striscia spaventosa di reti subite a suggerire di calare un velo pietoso sulla squadra partenopea. Che ormai prende gol da ben 14 gare consecutive.

Calzona continua imperterrito a colpevolizzare la strategia difensiva. Al contempo, però, un tantino incoerente rispetto alle affermazioni pubbliche, finora l’allenatore nulla ha fatto per tentare di mettere i suoi uomini nelle condizioni di non ripetere i medesimi errori, modificandone l’approccio sotto palla. Ecco che la squadra appare meno lucida nelle letture, sostanzialmente incapace di assorbire situazioni di difesa posizionale, con blocco medio-basso. Per esempio, il pareggio dell’Udinese assomiglia in fotocopia a quello preso a Cagliari, per non destare sospetti in termini di poca concentrazione individuale e attenzione collettiva.

Tanto per dirne un’altra, il Napoli becca puntualmente gol anche concedendo spesso e volentieri lo spazio alle spalle della linea. Sinonimo di cronica mancanza d’attenzione nel gestire transizioni e ripartenze. In questo scenario diventa marginale controllare il possesso, che determina solamente una sterile superiorità qualitativa. Piuttosto di fornire una nuova dimensione al calcio proposto dal commissario tecnico della Slovacchia. Evidente l’impressione che il panico si impossessi dei calciatori ogni qual volta l’avversario di turno aumenti l’intensità del pressing, sottraendo agli azzurri la possibilità di amministrare a loro piacimento il rimo del giropalla. Agevolando un destino ineluttabile, fatto di letture svantaggiose e disastri difensivi a iosa.   

Pure a causa di questo poco invidiabile record, gli azzurri, dunque, hanno cambiato radicalmente il loro ceto sociale, appaiati a club cui pensavano di non appartenere più: una middle class senza alcuna ambizione,rassegnata al grigiore del centro classifica. Che fa sorgere un mucchio di domande sui possibili motivi in grado di giustificare una caduta verticale senza paracadute così rovinosa.

In questo momento, all’ombra del Vesuvio, stanno vivendo un finale di stagione da minimo sindacale. Con i tifosi a contare le probabilità che questa squadra possa veramente qualificarsi almeno per la Conference League. Visto l’andazzo, magari in pochi ci scommetterebbero. AL contrario, rimane netta e diffusa la sensazione di dover salutare un gruppo dominante (senza necessariamente scomodare il concetto di “eroi” entrati nella Storia), giunto alla fine del suo ciclo naturale. I Campioni d’Italia ai loro ultimi giri di giostra prima di cercare fortuna e gloria altrove. Lecito, quindi, aspettarsi un addio in qualche misura pregno di orgoglio. Perché dopo Bologna e poi Lecce sarà tempo di guardare al futuro.

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