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In Iran le condizioni economiche peggiorano ulteriormente e le proteste riprendono vigore.

Costi in costante aumento e rial iraniano in discesa. L’indice di inflazione ha superato il 50% e questo pesa sulle famiglie che, rispetto allo scorso anno, pagano uno stesso bene oltre il 50% in più.

Il giornalista economico Reza Gebi ha detto “se l’inflazione superiore al 50% continua nei prossimi mesi si trasformerebbe in iperinflazione e l’Iran si trasformerebbe in un nuovo Venezuela”.

Al centro delle critiche per la situazione economica, e non solo, è il Presidente Raisi e la sua amministrazione. Il Capo del Parlamento iraniano critica Raisi perché dice di averlo avvertito della crisi. Gli avrebbe anche suggerito alcuni rimedi ma non è stato ascoltato.

Il Presidente iraniano accusa elementi stranieri, i nemici di sempre, di essere responsabili della situazione che sta vivendo il paese. Pensa anche di cambiare alcuni funzionari economici e per sostituirli andrebbe a pescare tra qualche ex esponente di spicco dell’IRGC. I Pasdaran (conosciuti come IRGC-Islamic Revolutionary Guard Corp) sono una vera potenza economico-militare attivi in quasi tutti i settori dell’economia iraniana. Hanno iniziato ad assumere questo ruolo a partire dal 1989, quando il presidente Rafsanjani gli affidò un ruolo chiave nel settore delle costruzioni. Da li in poi l’evoluzione e l’ascesa in altri settori dell’economia, tanto da divenirne un attore importane; molti dicono uno stato nello stato (Deep State).

Al Presidente del Parlamento non convince questa linea. Non vede di buon occhio il coinvolgimento di organizzazioni, come l’IRGC, nelle questioni economiche iraniane.

Raisi potrebbe anche intraprendere un’altra strada, quella di riprendere il dialogo sul nucleare che, secondo lui, potrebbe far allentare alcune sanzioni economiche a cui l’Iran è sottoposto. Ma è un percorso lungo e ad ostacoli che non è agevolato con quanto scoperto dalla IAEA (Interantional Atomic Energy Agency) sull’arricchimento di uranio all’84% (quello per uso militare lo è al 90%).

Movimento di protesta Masha Amini e malcontento per l’economica sembravano un cocktail perfetto per scuotere il regime. Ora si aggiunge anche il dramma delle studentesse avvelenate.

Su alcuni social vengono accusati i religiosi radicali che vorrebbero distogliere le donne dall’istruzione, Il regime viene sospettato di complicità. Il Presidente Raisi dice che è in atto una guerra psicologica ordita dal nemico per “instillare stress e ansia tra studenti e genitori, per generare caos”.

I primi casi furono registrai a novembre dello scorso anno nella città di Qom. Se ne parlò poco o per niente. La città fu il centro nevralgico della Rivoluzione iraniana del ‘79. Tuttora è una delle località più conservatrici del paese ed è un luogo di confluenza importante per studiosi e studenti sciiti da ogni parte del mondo. Il fenomeno degli avvelenamenti è ormai diffuso in tutto l’Iran. Colpisce le studentesse e qualche studente delle scuole di ogni ordine e grado. Per ora il regime non si è adoperato sufficientemente per ricercare né le cause né i colpevoli. Molti funzionari statali e delle amministrazioni locali minimizzano il problema ma c’è anche chi, come il vice governatore della provincia di Qom, riconosce l’anomalia dei fenomeni e li etichetta come intenzionali.

Tra il riconoscerne l’esistenza e l’adottare misure a tutela di chi subisce gli avvelenanti c’è molta distanza. Non c’è stato né un incremento delle misure di sicurezza introno agli edifici scolastici né si è fatto ricorso all’uso di dispositivi elettronici di sicurezza. Tutte misure messe in atto per controllare e reprimere il movimento di protesta “Masha Amini” e l’applicazione della legge sull’hijab.

Anche il religioso sunnita Moulana Abdol Hamid ha accusato il regime di negligenza nel proteggere le studentesse. È convinto che dietro gli avvelenamenti ci sia la mano del potere centrale come ulteriore forma di repressine delle proteste. Il regime nei confronti del religioso, e dei suoi seguaci, sta attuando un innalzamento dei controlli e delle pressioni per indurlo ad abbassare i toni critici nei confronti del potere di Teheran .

L’economia, la cultura, l’ambiente, il sociale e il costume sono tutti campi dove la protesta trova terreno fertile per attecchire e crescere. Tutto è iniziato lo scorso settembre per imporre la legge sull’hijab, il copricapo femminile obbligatorio in Iran.

Controllare o imporre un modo di vestire alle donne, impedirgli l’istruzione, vuol dire voler controllare il loro modo di agire, pensare ed emanciparsi.

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