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Iran. Sono oltre 100 giorni di proteste in Iran. Il regime si scontra con la resilienza delle manifestazioni. Alcune aree di protesta preoccupano, sono oltre 100 giorni di proteste.

Nonostante la dura repressine le manifestazioni di piazza dimostrano una resilienza che nessuno avrebbe immaginato conoscendo i metodi del potere centrale. Un’altra condanna a morte per “corruzione sulla terra” è stata confermata dalla corte suprema, è quella del ventiduenne Mohammad Ghobadlou. Uno studio effettuato dal Critical Threats Project (CTP) evidenzia che le proteste non si sono mai interrotte ma ci sono stati giorni e periodi con maggiori concentrazioni. Le quattro provincie di Teheran, Esfahan, Kurdistan e Azerbaigian occidentale, sono quelle che registrano un’alta partecipazione della gente. Le prime due provincie sono tra le più popolose dell’Iran con oltre il 40% degli abitanti, mentre nelle altre due è più sentito il rancore verso il potere centrale per le discriminazioni etniche attuate

Iran, i gruppi organizzati danno indicazioni  

L’economia del paese risente della situazione in atto e il potere d’acquisto della moneta iraniana, il rian, è in costante discesa. Il gruppo di protesta “Mashhad Neighborhood Youth”, in analogia a quanto fatto da altri, invita gli iraniani a prelevare i soldi dalle banche. Queste in risposta hanno fissato un tetto, molto basso, per il rilascio di contanti. Altri gruppi organizzati, in un manifesto, accusano Khamenei di non rappresentare i valori islamici e di manipolare la religione per esercitare il controllo sulla popolazione. La ribellione in alcune città assume connotati partigiani e iniziano a circolare bollettini giornalieri e settimanali che danno un aggiornamento sulle proteste, sul numero dei feriti e sulle persone uccise e arrestate.

La repressione ricorre ad abusi e violenze fisiche per estorcere confessioni che poi vengono usate nei processi farsa dall’esito scontato. La tortura degli arrestati è pratica comune tra le forze del regime. E c’è chi, del potere centrale, esorta ad eseguire le sentenze di morte senza indugiare.

Beluchistan e Sistan spine nel fianco del regime

Nelle due province del sud est dell’Iran le proteste sono in aumento. In queste aeree, come già riportato in precedenza, l’avversione verso il regime è molto diffusa. Non sempre l’insofferenza verso il potere di Teheran è collegata con le proteste in corso. Qui i salafisti-jihadisti, che operano al confine tra Iran e Pakistan, si scontrano di continuo con le forze di sicurezza del regime. Il Beluchistan e il Sistan sono sotto l’attenzione di Khamenei che ha inviato dei propri rappresentanti per dirimere le controversie con la gente di quei luoghi. Si dice anche che Khamenei sia preoccupato dell’ascendente del religioso sunnita Abdol Hamid che, durante la preghiera del venerdì, non rinuncia a criticare il potere di Teheran.

Il regime continua a dare una lettura superficiale delle proteste. La guida suprema Khamenei ed i suoi seguaci le considerano un fenomeno socioculturale e religioso. Non pensano minimamente a cercare di comprenderne la ragioni. La gente in piazza grida “siamo ancora qui” e “morte al dittatore”.

Papa Francesco nella benedizione natalizia “Urbi et Orbi” ha chiesto la riconciliazione in Iran e lo stop allo spargimento di sangue.  

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