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di Corinne Bove

Proseguono la rivolte in Iran dopo la tragica morte di Mahsa Amini (nella foto). Le immagini che pervengono dal territorio persiano rientrano in una compagine di eventi già ripetuti. E’ un copione che si ripete, intriso di sangue e martiri. La questione da chiarire verte sul numero delle possibilità che  una rivoluzione ha  di ribaltare un potere così fortemente rigido nell’interpretazione e nell’osservanza di comportamenti etico-morali ortodossi.

La necessità di rivisitare “in chiave moderna” alcune prescrizioni ritenute astoriche, come per esempio  la questione del velo, rientra in un lavoro che molti paesi musulmani stanno già elaborando. Il processo è endogeno e parte dall’interpretazione coranica, il cui testo sacro è una delle fonti del diritto musulmano. La contestualizzazione dei principi coranici non è avulsa dai  mutamenti generazionali , in termini politici, economici e sociali. Sebbene non vi sia cambiamento senza rivoluzione è anche vero che non vi è ostacolo che possa fermare ciò che è destinato a modificarsi nel tempo. Il cambiamento  generazionale comporta un naturale e intrinseco cambiamento dei costumi, delle dinamiche familiari e sociali di un paese.  Con i dovuti tempi. Un fattore accelerante che gioca a favore di una presa di coscienza collettiva deriva dall’utilizzo dei social e  non a caso lo strumento coercitivo diventa proprio  la negazione di internet. Troppo tardi però per negare l’evidenza dei fatti e troppo tardi per evitare che i cambiamenti possano manifestarsi. La domanda che ci si pone sta nel comprendere il motivo per cui  con il processo di secolarizzazione, esistono realtà ancora così oscurantiste. In realtà l’ortodossia è un punto di vista di chi osserva dall’altra parte. La secolarizzazione per alcuni aspetti  ha esaltato e ha fatto emergere le differenze, creando distanze. La modernità ha esasperato il concetto di individualismo e particolarismo che rientrano in quella liquidità  bahumaniana cieca e sorda al concetto di comunità, del bene comune.

La globalizzazione e l’emancipazione hanno determinato libertà di aspettative, realizzazione personale ma hanno evidenziato al contempo una crisi valoriale, una libertà apparentemente “senza regole”. La certezza dell’incertezza. Modernità e tradizione sono facce della stessa medaglia, due estremi che anziché congiungersi hanno creato più divario tra punti di vista. Due opposti che hanno contribuito a scatenare come abbiamo visto anche in passato, processi di radicalizzazione in Europa. Uno dei motivi che fa scorgere questa distanza di vedute è di natura temporale. Sebbene alcuni paesi musulmani come il Marocco e  la Tunisia  si stiano aprendo al confronto attraverso un percorso di riforme politiche tra tradizione e modernità, altri paesi islamici risultano essere ancora ancorati a una condotta tradizionalista . Sebbene l’Islam è unico nei suoi precetti per tutti i fedeli musulmani è influenzato da interazioni culturali diverse, abitudini diverse che spesso esulano dai principi islamici ma al contempo li contaminano. Di conseguenza è la maturazione culturale che va incentivata e non gli aspetti propriamente religiosi e cultuali. L’Occidente ha assaporato prima la modernità e i musulmani hanno assistito ai cambiamenti e alle derive. La distanza presa dall’Occidente avrebbe lo scopo di “preservare” , come frutto di osservazione, la comunità, disciplinandone i comportamenti ed evitando atteggiamenti che possano sviare la retta via. L’obbligo del velo, non è una prescrizione coranica anche se opinabile come definizione da alcuni interpreti coranici ma lo è per legge attualmente in Iran, Afghanistan e in Arabia Saudita, anche se nella costituzione di quest’ultima non c’è riferimento ben preciso. L’utilizzo che se ne fa, nel pensiero comune occidentale, è legato a un concetto di imposizione ma in realtà ci sono molte donne che lo indossano spontaneamente per scelta, per questioni culturali e di identità, la stessa attivista afroamericana Amina Wadud, persona di spicco del femminismo islamico, indossava  il velo asserendo che non era questo indumento un segno di discriminazione, per cui principalmente si lottava, ma la necessità di partire dal Corano dandone un’interpretazione meno patriarcale. Sul velo bisogna fare un distinguo dal punto di vista  terminologico e culturale, nel Corano il termine Hijab compare 7 volte col significato di “separazione”e solo una volta si riferisce al velo di Mariam (la Madonna), altri termini come Burqa o Niqab non si trovano nel testo sacro. Da dove nasce dunque l’obbligatorietà? Nella sura XXIV, 31 c’è l’invito  alla decenza, a un abbigliamento decoroso che vale sia per le donne che per gli uomini, ciò che determina opinioni contrastanti invece è l’utilizzo del termine “mantello” (Khimar) presente nella sura XXXIII,59 ,e legato a contingenze storiche, che doveva preservare le donne da possibili attacchi o violenze durante i primissimi tempi dell’era islamica a Medina dopo l’Egira. Ritorna dunque il concetto originario di preservazione dove gli uomini proteggevano le donne da altri uomini. Sebbene non esistano oggi reali motivazioni per segregare la donna sotto un mantello, la decenza costituisce uno strumento cardine nella cultura di alcuni paesi. Lo sconcerto dei paesi occidentali sta nel sensazionalismo degli eventi e nelle modalità, le donne musulmane che oggi lottano sono le stesse che lottavano un secolo fa in occidente per rivendicare i propri diritti solo che le generazioni attuali non avendo vissuto quell’epoca si trovano a comparare il benessere attuale con situazioni che hanno  un “ritardo temporale”. Il progresso di un paese si valuta in proporzione all’emancipazione della donna. La donna è lo spartiacque tra civiltà e ignoranza. La questione del velo, però, è solo uno strumento che compendia un desiderio di cambiamento che avverrà nel ciclo ripetitivo della storia. Anche la resistenza e la repressione nell’ambito delle proteste accelera il meccanismo della modernità perché sprona alla ribellione e al desiderio di cambiare