Un ex vice ministro della difesa iraniano, Alireza Akbari, è stato impiccato perché colpevole di spionaggio. Secondo le accuse ha “danneggiato la sicurezza interna ed esterna del Paese passando informazioni di intelligence”. Akbari si aggiunge ai 4 manifestanti già giustiziati.
Nei bracci della morte delle carceri iraniane sono rinchiusi altri condannati alla pena capitale in attesa o della esecuzione o che la Corte Suprema si esprima sulla sentenza definitiva.
Il regime ha ribadito l’intento di voler fronteggiare le proteste con decisione ed in merito all’hjiab (velo) si è espresso anche il Consiglio Supremo della Rivoluzione Culturale (CSRC). Quest’organismo ha sottolineato la necessità e l’importanza del velo nella società iraniana. Il CSRC è un’istituzione dove dominano i conservatori e le sue decisioni possono essere confutate solo dal leader supremo, Khamenei. Lo scopo dichiarato del Consiglio Supremo è quello garantire che l’istruzione e la cultura dell’Iran rimangano al “100% islamici”. Il regime comunque, a prescindere dal parere del Consiglio, ha già rafforzato “in modo deciso” l’imposizione dell’obbligo dell’hijab.
Le proteste entrano in una nuova fase
Le manifestazioni, in generale, sono leggermente calate nell’ultima settimana ma questo non sta a significare che termineranno o che sia diminuito il sentimento anti regime. Il dissenso viene espresso in molti modi. Oltre alle dimostrazioni di piazza e gli sciperei c’è il ricorso ai graffiti murali, la rimozione del velo obbligatorio, la distruzione di pubblicità governative e slogan notturni. Non mancano le manifestazioni di solidarietà nelle università verso quei professori che vedono lo stipendio dimezzato per aver mostrato simpatia verso i dimostranti. Un altro modo singolare di mostrare il proprio dissenso è quello di scoprire il capo dei religiosi che camminano per strada dando un colpo di mano al loro turbante.
Uno dei gruppi di protesta più attivi, il Karaj Neighbourhood Youth, nel notare il calo delle manifestazioni ha annunciato sui suoi profili social che il movimento è entrato in una nuova fase, nella seconda ondata della rivoluzione, dove si intensifica il coordinamento della coalizione tra i gruppi. Il gruppo dice anche che metterà sui social l’elenco di tutti i metodi di combattimento e chiede, a chi ne fosse capace, di suggerire altri metodi efficaci di protesta. C’è anche chi in un appello congiunto, fronte unito dei quartieri dell’Iran, chiede una manifestazione in concomitanza dell’anniversario della dipartita dello Scià dall’Iran nel 1979.
Il sunnita Habdol Hamid sempre critico
Se la flessione nelle manifestazioni si è avvertita in molte parti del paese la dinamica non cambia nelle provincie del Sistan e Beluchistan. In questi territori le proteste prendono sempre più corpo in concomitanza delle preghiere del venerdì, come accade da mesi. Qui il religioso sunnita Habdol Hamid non si fa scrupolo di seguitare a criticare il regime. Accusa direttamente Khamenei perché parlare con i poeti e gli oratori non gli farà risolvere i problemi dell’Iran.
Habdol, in un incontro con i leader locali di Zahedan e Khash nella grande Moschea di Makki Zahedan, ha negato di aver inviato dei negoziatori a Teheran ma non ha scartato la possibilità di aprire una discussione con i dignitari del paese, con qualcuno capace di comprendere i problemi dei beluci e dei sunniti ed abbia l’autorità e la capacità di risolverli.
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