di Giuseppe Esposito
Tra il 23 ed il 26 ottobre saranno passati 40 giorni dalla morte di Mahsa Amini (foto da fb) e in Iran è costume che dopo tale periodo di tempo si tengano delle commemorazioni. Molti credono, anche il regime, che le proteste si potrebbero intensificare intorno al 26 di ottobre. Le voci viaggiano veloce su rete ed il potere centrale sta sviluppando tecnologie informatiche per identificare e monitorare quelli che considera gli eretici della protesta.
Le manifestazioni continuano in tutto il paese. Altri settori iraniani del sistema produttivo e dei servizi entrano in sciopero, unendosi ai lavoratori del petrolchimico e siderurgico. È il momento di far sentire ai giovani che non sono soli nella loro battaglia. Padri, madri, fratelli, mariti, tutti insieme per un domani migliore e libero.
La schiera di persone di tutte le età che hanno accolto la scalatrice “senza velo” Rebaki, al suo rientro dalla Corea del Sud, testimonia il fatto che c’è unione di vedute e di lotta tra differenti generazioni.
Anche se Il presidente del Comitato olimpico del paese, Mahmoud Khosravi Vafa, ha dichiarato che l’arrampicatrice non sarà punita, il regime deve fare bene i conti sul trattamento che pensa di preservare alla giovane donna. L’atleta nei prossimi giorni potrebbe diventare la nuova eroina attorno a cui i manifestanti si raduneranno nelle proteste.
Intanto altri iraniani sono caduti sotto la scure della repressione. Tra questi Asra Pahani, sedici anni, è morta dopo un pestaggio subito a scuola perché si era rifiutata di cantare l’inno patriottico, “ciao comandante”, in onore del capo supremo Khamenei. Le autorità attribuiscono il decesso ad una patologia cardiaca. Se così fosse la malattia di Arsa in Iran si chiama “fibrillazione per la libertà”. Poi Abolfazl Adinezadeh, diciassettenne, muore per un colpo di fucile che lo fredda perché aveva partecipato ad una manifestazione contro la morte di Masha Amini.
Il potere centrale non ascolta neanche alcuni esponenti religiosi che hanno espresso critiche per le modalità con cui sono state affrontate le proteste. Gli Ayatollah Bayat Zanjani e Mohaghegh Damad hanno fortemente biasimato le circostanze che hanno portato alla morte di Mehsa Amini. Gli Ayatollah Javad Alavi Boroujerdi e Hossein Nouri Hamedani, hanno invitato le autorità ad ascoltare le richieste del popolo.
Abbattere il tabù dell’jihad è molto difficile, resta uno dei fondamenti dello Stato islamico iraniano, precedenti proteste non ci sono riuscite. Ma c’è chi non rinuncia a lottare e una donna iraniana dopo ottanta anni si toglie il velo, mostrandosi in video, perché non si riconosce più in “una religione che uccide le persone” e chiama codardi chi non scende in piazza a protestare. Il suo gesto esemplare fa sperare.