In Giappone, lavorare fino allo sfinimento (Karoshi) è considerato un gesto di grande valore, una dimostrazione di dedizione e rispetto nei confronti dell’azienda e dei superiori. Fatto sta che, anche quando non è richiesto esplicitamente, gli stessi dipendenti scelgono volontariamente di trattenersi in ufficio ben oltre l’orario previsto, fino a tarda sera. Questo è un fenomeno così profondamente radicato nella cultura giapponese e nella mentalità dei lavoratori che le campagne di sensibilizzazione e le iniziative intraprese per tentare di migliorare la situazione hanno finora dato scarsissimi risultati.
“Karoshi” è una malattia conosciuta come “morte professionale improvvisa”, in quanto le morti sono principalmente legate al lavoro. In Giappone l’opinione pubblica negli anni Settanta inventò questa parola per riferirsi alla “morte per lavoro straordinario”. Le estenuanti ore di lavoro possono portare un dipendente a commettere il suicido o soffrire di insufficienza cardiaca e ictus.
Un nuovo caso di morte improvvisa è stato rilevato dopo che, l’ufficio di verifica delle condizioni di lavoro giapponese ha accertato che la morte di un dipendente della Sony negli Emirati arabi uniti, a gennaio 2018, è stata causata da superlavoro.
L’uomo era un “white collars” del marketing. Aveva poco piu di 40 anni e morì d’infarto. Era stato assunto a tempo indeterminato nel 2007, in seguito, venne inviato ad occuparsi del marketing dei prodotti elettronici Sony a Dubai. Alla morte la famiglia decise di presentare la richiesta di risarcimento per infortunio sul lavoro, ma non venne in un primo momento accolta, perché sulle registrazioni dei badge non risultava che il dipendente avesse fatto straordinari.
A questo punto i familiari, attraverso i propri legali, aprì un’inchiesta indipendente e risalendo agli accessi sul computer di lavoro e alle testimonianze dei colleghi della vittima, si è arrivati alla conclusione che la persona in questione, nei tre mesi precedenti al decesso, aveva lavorato 80 ore mensili medie in più dell’orario previsto.
La moglie ha inoltre raccontato l’ultimo giorno: “Mio marito era un uomo con un forte senso di responsabilità e con un carattere sempre gentile verso chiunque. Tuttavia nei mesi precedenti alla sua morte, era diventato nervoso e stanco. Quel giorno, quando uscì di casa, aveva un pessimo aspetto. Non tornò mai più”. E prosegue, “Pur essendo morto per l’eccesso di lavoro, nell’azienda non si è voluto accertare se vi fossero responsabilità, si è trattata la questione come se nulla fosse accaduto. Io vorrei che la nostra diventasse una società in cui non si muore per il troppo lavoro, in cui i nostri figli possano lavorare in sicurezza coltivando le loro speranze”.
La Sony ha preso atto del pronunciamento e tramite un comunicato ha riferito: “Preghiamo dal profondo del cuore che il nostro collega possa riposare in pace. Prendiamo atto con sincerità del riconoscimento da parte dell’Ufficio di controllo delle condizioni di lavoro e ci impegniamo con la massima serietà nel prevenire gli infortuni sul lavoro e nel controllare le condizioni di salute dei nostri dipendenti”.
Questo giovane uomo aveva solo 40 anni, e questa sovraesposizione al lavoro chiamata “karoshi”, è considerata una vera piaga sociale in Giappone dove il rapporto di lavoro supera quasi sempre in maniera eccessiva la prestazione all’interno di un orario definito.
Molte aziende sono finite negli ultimi anni sotto accusa a causa dell’utilizzo, per tempi eccessivamente lunghi, delle prestazioni dei loro dipendenti. Il governo nipponico ha inoltre dato via a campagne informative per i dipendenti proprio a distoglierli dalla volontà di assumere un eccessivo comportamento stacanovista e alle aziende di tagliare lo smisurato ricorso a straordinari.
Nel riconoscimento della morte per eccessivo lavoro, le autorità nipponiche non evidenziano troppo la causa clinica del decesso.
La morte può essere per infarto, o ictus o anche suicidio, in questo caso si tratta di “karo-jisatsu”, ma piuttosto sulle condizioni di lavoro che potrebbero aver innescato la crisi letale.
Nel 2019, ultimo dato disponibile, sono state riconosciute in Giappone 174 morti per superlavoro, 88 delle quali per suicidio.
Marina Pomante
Seguici anche su www.persemprecalcio.it

Blogger, poliedrica, ama scrivere tra sogno e realtà. Amante dell’arte, della storia, della politica e del sociale.