Oggi 6 febbraio è la Giornata Mondiale Contro l’Infibulazione e Le Mutilazioni Genitali Femminili, una pratica ormai conosciuta soprattutto nel continente africano. Numerose le donne che subiscono questo rito volto solo ed esclusivamente a preservare la verginità. Figlia di ignoranza e di una vecchia mentalità che segue precetti nemmeno ben specificati delle sacre scritture, le MGF sono uno dei maggiori motivi di infezioni e morte di donne nel continente.
Ildefonso Falcones, esperto e stimato scrittore spagnolo, nei suoi libri ha spesso fatto riferimento al divieto delle donne musulmane di trovare piacere con pratiche diverse da quelle canoniche. La mutilazione, così come la successiva pratica dell’infibulazione (dal latino fibula, spilla), è un atto che in Africa colpisce circa 200 milioni di donne in 30 paesi. È dolorosa, inutile e pericolosa, radicata in norme sociali ancestrali dure a morire. Per questo tantissime ong come Amref, Amnesty International e ActionAid da sempre danno una grandissima attenzione al tema.
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La pratica della mutilazione genitale femminile, nello specifico, consiste nella rimozione del clitoride (evitare di avere orgasmi), spesso tutte le piccole labbra e parte delle grandi labbra. La successiva infibulazione è letteralmente una cucitura quasi completa della vulva che lascia spazio solo ad un foro per l’espulsione di urina e sangue mestruale.
Uno dei paesi in cui questa operazione viene effettuata con maggiore regolarità è la Siberia. Dal report 2016 di UNICEF il 98% delle donne somale ha subito questo trattamento. Un dato preoccupante data la pericolosità della pratica. Quasi tutte le donne tra i 15 e i 49 anni sono state vittime di questo trattamento. Principalmente la cultura della MGF, in molti paesi, è tramandata di generazione in generazione inculcando alle donne, sin da bambine, un’idea di fede distorta. Spesse volte questa macabra e inutile pratica è la causa di gravissime infezioni vaginali. I punti di sutura applicati ai tempi della pratica vengono poi rimossi dallo sposo, nella maggior parte dei casi, con assenza di igiene e cure che provocano spesso morte di mamma e bambino durante il parto, causa la mancata elasticità del tessuto che toglie ossigeno al piccolo.
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La Somalia da ben 3 anni non è inserita nell’HDI (Human Development Index) – una classifica degli stati per indice di sviluppo prodotta dall’ONU – e non sarebbe una novità la percentuale piena. Non a caso l’antropologa De Villeneuve sul Journal de la Société des Africanistes, definì la Somalia come “le pays des femmes cousuos” (il paese delle donne cucite).
I programmi di sviluppo sono un passo fondamentale. Visto che fino a qualche anno fa questo argomento era solo visto come una delle tante culture dettate da analfabetismo e disuguaglianze di genere, in Italia ActionAid ha iniziato il progetto ‘Chain’ cofinanziato dal REC – Rights, Equality, Citizenship – implementandolo in 5 paesi . Una catena di persone influenti nei loro paesi (Egitto, Nigeria, Pakistan, Senegal e Somalia) che hanno il compito di sensibilizzare e diffondere una sana informazione sul tema delle mutilazioni genitali e le infibulazioni.
FONTE: Famiglia Cristiana, United Nations Development Programme (hdr.undp.org), WHO
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