di Giuseppe Esposito
La campagna militare di “invasione” russa è condizionata da una mobilitazione incompiuta e dallo scarso addestramento dei mobilitati. Molti vengono inviati al fronte poco o per nulla addestrati e con grossi rischi per la vita. Voci critiche prevedono che tra i richiamati ci saranno circa 10.000 morti e 40.000 feriti entro marzo 2023.
Per leggere la situazione attuale bisogna partire dal 2008, quando Putin avvia il processo di riforma delle Forze Armate per il passaggio dal modello di coscrizione universale (leva obbligatoria) a quello professionale. La leva passa da 24 mesi a 18, per poi arrivare ai 12 mesi attuali. Ora vige un sistema misto di professionisti e coscritti. Quest’ultimi vengono chiamati alle armi in due sessioni annuali, una primaverile ed una autunnale. Col passaggio ai 12 mesi si è creata una riserva meno preparata per l’impiego in combattimento.
La mobilitazione non può prescindere da piani di richiamo aggiornati e da una organizzazione efficiente. Inoltre i procedimenti di richiamo vanno testati e provati anche in tempo di pace È probabile che dal 2008 quest’aspetto non sia stato curato dagli organi preposti del Ministro della Difesa. In merito i nazionalisti hanno avanzato molte critiche.
L’istituto sullo studio della guerra rileva che il richiamo ordinato da Putin il 21 settembre c.a. è solo l’ultimo di una serie.
Nell’autunno 2021 si ha la costituzione del Russian Combat Army Reserve (BARS- Boevoy Armeyskiy Rezerv Strany), bisognava reclutare 100.000 unità da destinare ad organizzazioni addestrative e renderle pronte al combattimento mentre in riserva. Piano solo parzialmente attuato all’atto dell’invasione dell’Ucraina. Contestualmente ai BARS viene attuato il richiamo di decine di migliaia di riservisti per colmare le carenze organiche delle unità destinate in Ucraina.
Questi due primi provvedimenti facevano già prevedere le future intenzioni di Putin verso l’Ucraina.
Successivamente, ad invasione in corso, vengono richiamati migliaia di riservisti per compensare le perdite avute da marzo ’22. Poi, a partire da giugno scorso, ad ognuno dei Soggetti Federati russi viene chiesto di generare un battaglione di 400 unità per raggiungere il numero di 34.000 volontari.
Infine il 21 settembre viene firmato il decreto per la mobilitazione parziale di 300.000 riservisti.
Putin, recentemente, ha detto che l’odierna mobilitazione è nella fase finale e che non c’è motivo né di prolungarla né di incrementarla. I fatti direbbero altro sia per numeri che per l’efficacia e molti vedono in queste affermazioni la volontà di voler alleggerire il lavoro dei centri di reclutamento che si apprestano a dare avvio all’arruolamento autunnale della leva.
Il Capo del Cremlino avrebbe poi ammesso che ci sono stati errori durante le prime fasi di mobilitazione, da ascrivere a metodi di registrazione obsoleti che sono in fase di aggiornamento.
L’agenzia TASS riporta che finora sono stati mobilitati 220.000 unità. Di questi 35.000 sarebbero già incorporati nei reparti russi e 16.000 sono impiegati in unità di combattimento al fronte.
Da moltissimi russi la mobilitazione non è stata ben accolta, le dimostrazioni di piazza e i tentativi di espatrio lo testimoniano. Secondo alcuni si sarebbe rotto il tacito patto tra Putin e la maggioranza silenziosa della popolazione che accetta l’impostazione statale russa in cambio di un vivere tranquillo e più meno occidentalizzante. Se il 24 febbraio il Presidente russo ha dichiarato guerra all’Ucraina, il 21 settembre, con la mobilitazione parziale, ha dichiarato guerra ad una larga parte del popolo russo che non comprendere le ragioni di una guerra non voluta.