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Il Mondiale in Qatar si tinge nuovamente di sangue dopo la notizia dell’ennesima morte di un addetto ai lavori. 

Mercoledì scorso infatti Alex, un lavoratore proveniente dalle Filippine, è deceduto, investito da un carrello elevatore mentre eseguiva delle riparazioni in un resort. Resort che, come ha sottolineato la testata sportiva “The Athletic”, era stato utilizzato dall’Arabia Saudita come centro di allenamento nella fase a gironi. 

Un incidente che non è passato inosservato ed è ora al vaglio delle autorità qatarine mentre la Fifa ha espresso “profonda tristezza” per quanto accaduto. Di ben altro avviso le parole del comitato organizzativo del torneo che ha prontamente declinato ogni responsabilità per quanto accaduto affermando che la vittima “non lavorava alle nostre dipendenze, né in un luogo sotto la nostra giurisdizione.”

AL KHATER:”EVENTO NATURALE”

Come se non bastasse in queste ore stanno facendo molto discutere le parole di Nasser Fahad Al Khater, amministratore delegato del comitato organizzativo per il Mondiale. Al Khater ha risposto in modo piccato ad alcuni giornalisti e alle accuse sulle morti sospette in Qatar:

È qualcosa di cui volete parlare adesso? Voglio dire, la morte è una parte naturale della vita, sia al lavoro, sia nel sonno. Le nostre condoglianze vanno alla famiglia del lavoratore. Tuttavia, voglio dire, è strano che questo sia qualcosa su cui volete concentrarvi come prima domanda.”

Nel mirino sono finiti proprio i giornalisti: 

Tutto ciò che è stato detto sulla morte dei lavoratori è assolutamente falso. Siamo un po’ delusi dal fatto che i giornalisti abbiano esacerbato questa falsa narrazione. E onestamente penso che molti debbano chiedersi e riflettere sul motivo per cui hanno cercato di insistere sull’argomento per così tanto tempo”. 

Differentemente da quanto afferma l’ad Al Khater le morti sono tutt’altro che false e, già un’inchiesta del febbraio 2021 del Guardian,  ha rivelato che i lavoratori migranti morti nei cantieri del Mondiale erano più di 6500. In realtà il numero è solo approssimativo ma, come richiesto anche dalla Fifa con una lettera inviata alle 32 nazionali partecipanti prima dell’inizio del torneo, “concentriamoci sul calcio ora, per favore”. 

Eh sì.. il calcio. Ma cosa c’è realmente dietro queste morti? Perché sono morte più di 6500 persone? Cosa è successo in Qatar? 

Domande a cui nessuno è finora riuscito a dare delle risposte. La verità è appunto che non sappiamo nulla con certezza ma di sicuro i numeri comunicati dal Comitato organizzatore sono pesantemente sottostimati, tant’è vero che nell’agosto 2021 un nuovo report di Amnesty International ha dichiarato oltre 15000 stranieri morti in Qatar tra il 2010 e il 2019 per ragioni non meglio specificate. 

L’INDIGNAZIONE DI AMNESTY INTERNATIONAL

Le parole della video intervista di Al Khater così indifferenti di fronte alla morte di un giovane lavoratore, hanno scatenato reazioni anche da parte di Amnesty International, da sempre in prima linea per i diritti umani. In particolare Ella Knight, ricercatrice sui diritti dei lavoratori dei migranti, ha dichiarato:

Sfortunatamente, il signor Al Khater si sbaglia quando afferma che si indaghi su ogni incidente mortale. Questo non è vero. Noi e altre associazioni abbiamo chiesto per anni alle autorità del Qatar di condurre indagini sui decessi dei lavoratori, senza alcun riscontro. Anzi, queste circostanze si liquidano dicendo che il gran numero di decessi è dovuto a cause naturali, senza riconoscere le gravi condotte disumane nei confronti di operai che lavorano a temperature estreme”.

Forse pochi sanno che dietro queste morti esiste un sistema antichissimo, la kafala, che regola il diritto per il lavoro degli stranieri nel mondo arabo. La base di questo sistema, tra le altre cose, richiede a chi arriva a lavorare in un paese come il Qatar di rivolgersi a un garante o sponsor che vanta determinati diritti nei suoi confronti. Su questo sistema si regge un’economia di sfruttamento pesante di questi lavoratori che spesso sono paragonati agli schiavi, quasi tutti provenienti dall’Asia meridionale, e che rappresentano la più grande forza lavoro del Qatar.

La cosa ancora più triste è che, quando le luci del Mondiale di spegneranno, con molta probabilità non si parlerà più di questi lavoratori. Lavoratori che la FIFA avrebbe tutti i mezzi per risarcire con un aiuto alle famiglie che invece, ancora oggi, sono tenute all’oscuro delle cause di morte dei propri cari e non hanno ricevuto alcun tipo di risarcimento per questa loro perdita che no, non è solo un numero.