Difficile dare un giudizio sulla situazione che la Tunisia sta vivendo attualmente. Il presidente Kais Saied, peraltro noto per le sue posizioni equilibrate, ha davvero realizzato un colpo di Stato prima appoggiandosi alle forze armate, e poi indicendo il referendum da cui è uscito vincitore?
Oppure sta solo cercando di evitare che nel Paese nordafricano – così vicino a noi – prevalgano le componenti islamiste radicali, con il pericolo di avere un altro “caso Libia” a breve distanza dalle nostre coste?
Ovviamente nessuno nega che le proteste popolari siano state innescate da problemi reali e molto gravi. Per esempio la disastrosa gestione della pandemia di Covid 19. Le strutture ospedaliere, già in affanno in tempi normali, sono ora al collasso per la carenza di ossigeno e di postazioni per le terapie intensive. A ciò va aggiunta una povertà endemica, aggravata dall’aumento dei prezzi al consumo, e dalla sempre più accentuata difficoltà di reperire i beni di prima necessità.
Pur essendo, come sempre, difficile tracciare una precisa distinzione tra islamisti estremisti e islamisti moderati, occorre pur dire che in Tunisia gli estremisti hanno un peso notevole nella vita politica nazionale.
Lo stesso partito “Ennahda”, che per parecchio tempo è stato nel governo, si presenta ufficialmente come “moderato”, ma alcune sue componenti assumono in realtà posizioni radicali. L’impressione è che la potente “Fratellanza Musulmana”, alla quale rappresentanti di primo piano di “Ennahda” sono tradizionalmente vicini, avesse in mente di spingere la Tunisia verso il caos.
Con il supporto, peraltro, della Turchia di Erdogan, del Qatar e dei “fratelli” di Hamas che dominano la striscia di Gaza. Se è così, le decisioni prese dal presidente Kais Saied appaiono, più che un colpo di Stato, una mossa preventiva per frenare la presa dei fondamentalisti.
Il quesito è sempre il solito. In Egitto i militari fecero bene a prendere il potere per evitare la deriva fondamentalista verso cui l’ex presidente Morsi – lui pure esponente di spicco della “Fratellanza” – stava conducendo la nazione? Oppure avrebbero dovuto lasciare che il radicalismo islamico si impadronisse di tutte le leve del potere, trasformando il più grande Paese del mondo arabo in un bastione della stessa “Fratellanza”?
Si sa che, al riguardo, le opinioni divergono in modo netto, ma chi scrive ritiene che, in ogni caso, l’esercito sia preferibile ai fondamentalisti. Come già detto, lo scenario tunisino è tuttora troppo confuso per consentire di formulare opinioni precise. Senza dimenticare che le forze armate tunisine non sono certo paragonabili a quelle egiziane per potenza ed efficienza.
Sorprendono, a. questo punto, le affermazioni di Jopep Borrell, il rappresentante dell’Unione Europea per gli affari esteri. Borrell ha accusato il presidente tunisino di autoritarismo, criticando la bassa affluenza degli elettori alle urne. Scordando, però, che tale fenomeno è comune anche a tutti i Paesi europei.
Quella di Borrell appare dunque un’interferenza inopportuna in un momento così delicato. E occorre pure notare che all’Italia non conviene avere i fondamentalisti alle porte. Per quanto ci riguarda, una Libia è più che sufficiente.
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Filosofo, Professore di filosofia della scienza e metodologia delle scienze umane, Presidente del dipartimento di filosofia e vicerettore per le relazioni internazionali dell’Università di Genova