Reporter Whitout Borders ha pubblicato nella giornata odierna il report annuale sui giornalisti uccisi nell’anno 2020. I dati mostrano dati in discesa rispetto agli anni precedenti, 3 in meno al 2019. Un numero relativamente basso, ma nei paragrafi successivi analizzeremo la questione al microscopio.
I paesi interessati
Nell’immaginario comune, quasi sicuramente, ci si aspetta un numero maggiore di giornalisti uccisi nelle zone di guerra. Quest’anno il report mostra un dato inusuale al riguardo.
Stando alla relazione prodotta da Reporters Without Borders circa il 68% degli operatori del settore informazione è stato soppresso nelle zone dichiaratamente “di pace”. Il record lo detiene il Messico, con 8 giornalisti uccisi nel 2020, riconfermandosi in questa speciale classifica.

Solo negli scorsi mesi di ottobre e novembre, infatti, sono stati assassinati 3 giornalisti:
- Israel Vazquez, 34 anni: freddato con 8 colpi di pistola dopo essersi recato su una scena del crimine, morto il giorno dopo in ospedale (3 novembre);
- Jesús Alfonso Piñuelas, 43 anni: ucciso a colpi d’arma da fuoco (2 novembre);
- Arturo Alba Medina, 49 anni: giustiziato con 10 colpi d’arma da fuoco mentre guidava (29 ottobre).
Il caso del Messico non è isolato. Tra i paesi che non si dichiarano in stato di guerra c’è l’India con 4 giornalisti uccisi nell’anno corrente, scenario di uccisioni brutali:
- Rakesh Singh, 37 anni: arso vivo in casa sua. Dopo aver capito di non avere alcuna via di scampo ha rilasciato una veloce dichiarazione videoregistrata dove affermava di “essere stato bruciato vivo perché lavorava ad una storia” (27 novembre);
- Isravel Moses, 27 anni: massacrato a colpi di machete (8 novembre);
Si è di fronte, senza ombra di dubbio, ad accanimenti veri e propri dinanzi ad esponenti del settore informazione e notizie.

Crudeli anche le morti di giovani reporter, giornalisti e lavoratori del settore media nelle zone di guerra come la Somalia e la Nigeria.
Quest’ultima in particolare è stata scenario di una morte giovanissima. Il 20enne Onifade Pelumi trovato morto direttamente in obitorio a Lagos. Il giovane aveva preso parte ad una protesta qualche giorno prima.
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L’impatto COVID-19 sul giornalismo
Nelle prime note di questo rapporto, RSF ha affermato di essere decisamente preoccupato per la questione riguardo la libertà di espressione in termini di coronavirus.
L’apprensione nasce dalla poca chiarezza riguardo alle misure prese dai governi per la pandemia ancora in atto. Le stesse misure, si nota dal report, avrebbero contribuito “ad un picco significativo nelle violazioni della libertà di stampa”.
Inoltre Reporters Without Borders ha elencato 387 giornalisti incarcerati, definendoli “un numero storicamente elevato”.
Durante il 2020 le cause per i diritti umani hanno portato a tensioni in ambito governativo/giornalistico. Basti pensare alle rivolte scatenate negli Stati Uniti dai Black Lives Matter dopo l’uccisione di George Floyd od anche alla questione Egitto/Italia/Francia riguardo ai diritti umani; in particolare su due casi in particolare come la giustizia per la morte di Giulio Regeni e l’incarcerazione di Patrick Zaki, studente dell’università di Bologna detenuto da più di 10 mesi in Egitto.
Tanti i paesi nordafricani e del medio oriente che cercano in tutti i modi di mettere a tacere verità istituzionali nascoste sulle quali lavorano reporters. Nella maggior parte dei casi si attuano gli stati d’arresto per far “chiudere la bocca”. Proprio recentemente Roberto Saviano ha presentato alcuni casi del genere in un programma Rai.
I giornalisti uccisi: lo storico
Nel rapporto in questione, RSF non può non far riferimento ai report precedenti, analizzando la decade che va dal 2010 al 2020.
Si può notare, come già spiegato nei paragrafi precedenti, una notevole decrescita dei casi di morte rispetto alle annualità che vanno dal 2011 al 2014. A questo c’è una coerente spiegazione.

Come esposto in un recente articolo sulla morte del martire Mohamed Bouazizi che ha scatenato la Primavera Araba, in quegli anni i decessi erano decisamente elevati. In un periodo storico dove in quelle aree imperversava la violazione alla libertà di espressione, i governi e i corpi istituzionali in generale provavano a mettere a tacere i diffusori dell’informazione con la violenza. Dal 2014 iniziano a muoversi le acque in quei paesi grazie alla perseveranza della protesta da parte dei popoli.
Sempre negli stessi anni c’è l’insorgenza ISIS. Lo stato islamico prende il sopravvento con la violenza. Tale metodologia viene utilizzata anche, e soprattutto contro i giornalisti. Ricordiamo video di uccisioni tramite decapitazioni o roghi da parte del movimento estremista.
Conclusioni
RSF ha riportato dei dati estremamente rilevanti nella lotta alla libertà di espressione. Senza ombra di dubbio nel mondo tutti gli stati devono lavorare ancora tanto per far sì che un giornalista possa informare senza una paura di fondo alle spalle.
La lotta di Reporters Without Borders è destinata ad avere risultati sostanziali nel tempo. Questo è possibile soltanto grazie all’impegno comune ed a leggi che tutelano maggiormente il settore dell’informazione: web, cartacea o video poco importa. Tutto è cultura e sapere, quando è verificato.
L’informazione crea conoscenza, e la conoscenza combatte l’ignoranza, salvando l’uomo.
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