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Sono passati 40 anni dalla vittoria del Mondiale in Spagna, una delle conquiste più fantastiche della nostra storia.

“Gli italiani perdono le guerre come fossero partite le calcio, e le partite di calcio come fossero guerre” (Winston Churchill). L’Italia d’altronde è fatta così: vince e perde, gioisce e si dispera, acclama e urla allo scandalo per il semplice fatto che un pallone rotola su un campo da calcio. Allora a 40 anni dalla vittoria del Mondiale in Spagna è bene ricordare il successo più inaspettato e incredibile della Nazionale. Uno spartiacque che divide gli anni di piombo dal boom economico, la tragedia dalla rinascita italiana, tutto grazie a un trofeo inaspettato.

Polemiche– La vittoria si costruisce piano piano, ponderando le decisioni e con la giusta tattica. In più serve la giusta dose di pazzia, perché d’altronde la palla è rotonda e può finire ovunque. Ecco, l’avventura dell’Italia al Mondiale di Spagna comincia con una polemica: Bearzot convoca Paolo Rossi, appena tornato da due anni di squalifica. I tifosi insorgono, la stampa protesta. Il C.T. aveva già capito: lui, amante del gioco della scopa, sapeva che Rossi sarebbe stato il suo settebello. L’inizio è tormentato, ai gironi si segna poco e si passa quasi per caso con 3 pareggi su 3 partite.

Risorti– Italia, Argentina e Brasile, tre squadre in un solo girone, solo la prima avrebbe avuto accesso alle semifinali. Tra altre polemiche sulla rosa e il pessimismo generato dalla stampa, Bearzot si chiude nel silenzio stampa, sa che i suoi giocatori possono vincere. È l’inizio della rinascita, lo dimostra la vittoria per 2-1 sull’Argentina. Anche il Brasile vince contro Maradona, questa volta per 3-1. Tutto si decide quindi in Italia-Brasile, ma gli Azzurri sono costretti a vincere per passare.

“Primo: non prenderle. Secondo, questo è imperativo: vincere. Terzo: non c’è un terzo punto, perché i primi due han detto tutto”

-Enzo Bearzot prima di Italia-Brasile

La partita– Per arrivare alla vittoria però servono i gol della punta, più precisamente di Paolo Rossi, ancora assente dal tabellino dei marcatori. Ma proprio nel momento del bisogno l’eroe si sveglia e sale in cattedra e come nelle migliori favole vince. 3 sono gli acuti del Pablito, si fermano a 2 quelli Verdeoro. Sommerso dalle critiche per poi rinascere e risplendere, da quel momento inizia il mondiale della fenice Rossi. Poi c’è la Polonia, che senza Boniek è solo una formalità sbarazzata da altri 2 gol di Paolo.

Prima della finale– 11 luglio 1982, il giorno della finale. A sfidare la corazzata tedesca, che ha battuto i Transalpini c’è la nostra Nazionale. Incredibile solo a dirlo, secondo alcuni questa squadra faceva meglio a non partecipare; venivamo dallo scandalo calcio scommesse di due anni prima; e c’è anche da dire che il nostro paese da oltre un decennio stava attraversando gli anni di piombo e della strategia della tensione. Ma l’Italia è sempre stata così: vince quando le possibilità sono al minimo. E così ha fatto anche Rossi, risorto nel bel mezzo del torneo.

Vittoria– Ma quel giorno, quell’11 luglio, si vede un’altra Italia: Pertini, presidente della repubblica, che sul 3-0 dice “Non ci prendono più”, tralasciando ogni formalità; Bearzot che alza il pugno al cielo negli ultimi minuti. E c’è il fischio finale “Campioni del mondo! Campioni del mondo! Campioni del mondo!” urla il telecronista Nando Martellini. Gioia, festa, tripudio azzurro e nella notte di Madrid il cielo del Santiago Bernabeu si tinse di Azzurro.

Ancora oggi, di notte, quando Madrid tace – cosa non scontata per una metropoli così – si può udire un urlo nei pressi del Bernabeu. Un grido gioia, di vittoria, di sudore e lacrime che si traducono in gol. Quello è ancora il grido di Tardelli, che risuona per tutto lo stadio. Quel grido che anche noi in Italia abbiamo ripetuto sul 2-0, perché lì avevamo capito di essere vicini più che mai alla vittoria, al compimento della favola. Eravamo campioni, eravamo felici nelle piazze italiane e spagnole, e il tutto si può riassumere con quel momento.

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