Prima del silenzio elettorale abbiamo incontrato l’avv. Domenico Ciruzzi, candidato alla Camera dei Deputati con Unione Popolare di Luigi De Magistris. Il noto penalista pone al centro della sua campagna, lo Stato, il territorio, la giustizia sociale e la critica verso gli intellettuali e la borghesia.
Perché ha scelto De Magistris?
La mia candidatura nella lista Unione Popolare è nata da una sollecitazione convinta ed appassionata di Luigi De Magistris, che mi ha parlato di questo nuovo progetto e mi ha chiesto se volessi impegnarmi personalmente. Ho accettato quasi immediatamente la proposta perché, già da elettore, sentivo la necessità che nascesse un partito realmente di sinistra che tutelasse i più fragili, i giovani, le minoranze ed il Mezzogiorno. Tanti conoscenti, colleghi ed amici quasi increduli mi hanno chiesto: “Ma chi te lo fa fare”? Ho risposto che stare dalla parte giusta, offrendo una testimonianza fattiva contro l’ignavia di molti, restituiva armonia alla mia coscienza.
La sua è una candidatura molto identitaria rispetto ad altri candidati. Secondo lei, Napoli di cosa ha bisogno?
Per quanto sia sempre sorprendente e talvolta imprevedibile, credo di conoscere a fondo le varie anime che compongono la città di Napoli. La mia professione di avvocato penalista mi consente di confrontarmi tutti giorni con l’ “alto” e con il “basso”, di fungere da cinghia di trasmissione tra mondi che spesso non si parlano, non si conoscono e non si capiscono. E’ una straordinaria palestra e
fonte di conoscenza che non può che giovare anche nell’esercizio dell’attività politica. Questa credo sia la più profonda differenza esistente tra me e gli altri candidati nel mio collegio, in larga parte paracadutati dalle segreterie di partito e che gioco-forza non hanno – né avranno – alcun legame e con il territorio e con gli elettori.
Napoli ha intrapreso un cammino – soprattutto negli anni in cui è stato sindaco De Magistris ma non posso dimenticare anche i primi anni straordinari di Bassolino – importante che la sta portando a diventare, a tutti gli effetti, una metropoli europea. Questa transizione va guidata ed implementata tutelando però le specificità e le caratteristiche che la rendono pressochè unica nel mondo. Napoli, come gran parte dei territori del Meridione, ha però bisogno di lavoro e di aumentare i servizi (penso ai trasporti ed alla sanità) ma soprattutto ha bisogno di una nuova classe politica, imprenditoriale ed intellettuale che si faccia portatrice di un pensiero “nuovo”, ponendo un argine a politiche e visioni di impronta “leghista” che rischiano di diventare maggioritarie nel paese.
Nel suo discorso, è stato molto critico nei confronti degli intellettuali e della borghesia napoletana.
Si, come le dicevo prima, sono molto critico nei confronti della classe dirigente e degli intellettuali napoletani. Talvolta per incapacità o malafede ma più spesso per ignavia i ceti intellettuali hanno completamente abdicato al compito di promuovere e farsi portavoce di un pensiero critico in grado di contrapporsi al pensiero unico oggi imperante. Vedo intellettuali – o sedicenti tali – che si scagliano contro i ceti popolari, contro i disoccupati o i giovani e, nel contempo, strizzano l’occhio e approfittano di chi quotidianamente è costretto a sperimentare l’arte di arrangiarsi. Negli ultimi anni le “grandi battaglie” di una parte del ceto intellettuale sono state contro i disoccupati che bloccavano il traffico o contro la movida rumorosa, questo anche mentre imperversavano le faide di camorra o migliaia di persone perdevano il lavoro. Se non cresce la borghesia è impossibile che crescano le fasce più popolari della città.
Il ruolo dello Stato: sanità, scuola, trasporti. Lei ha posto l’accento sulla cosa pubblica.
Questo è uno dei grandi temi che guidano l’azione di Unione Popolare. Crediamo che lo Stato, il pubblico, vada potenziato massimamente in tutti quei settori che forniscono i servizi essenziali. La sanità, l’istruzione, l’acqua, la raccolta dei rifiuti devono tornare ad essere gestiti dallo Stato, in primis per una questione di democrazia e di equità, abbandonando il “mito” delle privatizzazioni che, negli ultimi decenni, ha determinato uno scadimento dei servizi. In particolare, proporremo forti investimenti nel settore della sanità, per fare in modo che il diritto alla salute venga effettivamente tutelato in tutte le zone del paese e per tutte la classi economiche e sociali.
Quale sarà il primo atto parlamentare se dovesse essere eletto?
Unione Popolare nel suo programma ha avanzato una serie di proposte che, lungi dall’essere meri spot elettorali o mere rivendicazioni di principio, costituiscono espressione di quella che è la nostra visione della società. Per questo non è facile per me indicare solo una proposta o un atto stante l’evidente connessione esistente tra i vari argomenti di cui si compone il nostro programma. Ma non
sfuggo alla sua domanda: puntiamo ad una vera equità e giustizia sociale e, pertanto, il primo provvedimento da prendere, non più procrastinabile, è quello di introdurre il salario minimo. Insieme a questo, un altro argomento che – anche in ragione del mio vissuto e della mia professione – mi sta particolarmente a cuore è quello relativo all’indecente condizione in cui versano le carceri italiani, luoghi disperati e disperanti in cui sono rinchiusi quasi esclusivamente i più fragili, i poveri, i tossicodipendenti, gli immigrati ed i “matti”. Occorre assumere immediatamente provvedimenti (penso ad esempio all’implementazione delle misure alternative) che possano in tempi brevi sfoltire sensibilmente la popolazione carceraria consentendo in tal modo di attuare il dovere di
risocializzazione che lo Stato ha nei confronti di tutti i detenuti.
Chi butterebbe dalla torre: Meloni, Letta o Salvini?
La nostra politica è chiaramente alternativa a quella portata avanti da tutti i nomi che mi ha fatto. Ma nel gioco della torre non ho dubbi: scelgo Salvini sia per l’atteggiamento che questi ha dimostrato contro i migranti e le minoranze sia perché teorizzatore di politiche che rischiano di devastare il Sud.
Giornalista e conduttrice televisiva, crede in una stampa libera e ritiene che “una cronista debba sempre consumare la suola delle scarpe”. Il suo motto? “Io vivo la vita e scrivo cio’ che vedo” di Anna Politkovskaja.