“Di notte quando sono a letto nel buio della mia camera, sento due occhi che mi fissano, mi scrutano e mi interrogano. Sono gli occhi della mia coscienza”. Il mitico Totò attraverso questa breve poesia contenuta nella sua opera letteraria “ A Livella”, non poteva trovare occasione migliore per descrivere la totale dipendenza dell’uomo dalla sua coscienza. Essa rappresenta, per chi c’è l’ha, lo specchio della sua anima al quale qualsiasi individuo dal cuore puro deve necessariamente confrontarsi. Ogni uomo d’onore preferisce perdere il proprio onore anziché la propria coscienza”, diceva il filosofo e politico francese del 1500 Michel de Montaigne e forse non vi è verità più autentica di questa.
Tuttavia la storia passata e quella contemporanea ci ha insegnato e continua a farlo che molti, specie chi ha delle responsabilità sociali, la coscienza o non l’ha mai avuto oppure l’ha persa e non si è mai preoccupato di ritrovarla. Se il parametro di valutazione delle nostre azioni e di quelle degli altri, fosse direttamente proporzionale con l’esame della nostra coscienza, avremmo sicuramente, senza alcun ombra di dubbio, un mondo migliore e più giusto.
Chi ha la capacità di guardare direttamente negli occhi la sua coscienza, sapendosi scevro da colpe circostanziali addebitategli, è affetto da una sofferenza interiore paragonabile solo a quella che provoca un serio male fisico. Questa considerazione scaturisce da un’unica inconfutabile certezza che è la seguente, si può essere abili nel bleffare prendendo in giro gli altri ma non si può mai ingannare la propria coscienza, dal momento che essa è in diretto contatto con Dio al quale nulla sfugge.
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