Signorini, preparatore atletico di Maradona, storia di una amicizia e di una leggenda del calcio. Dal Napoli scudetto 1987 al Napoli.
Fernando Signorini, preparatore atletico di Maradona: storia di una amicizia e di una leggenda del calcio. Dal Napoli scudetto 1987 al Napoli di Spalletti. Signorini ha scritto due libri “Inside Diego” e Calcio chiamata alla rivolta: la disumanizzazione del calcio”. Attualmente collabora con la Scuola di Cesar Menotti.
Fernando, cosa ha significato per te essere stato il preparatore atletico di Diego?

“Innanzitutto è stato un privilegio impensabile quando Diego mi offrì la possibilità di lavorare con lui: non esisteva un allenatore personale. Sono stato il primo di tutti in questa professione che trasformò la mia vita. La mia vita era destinata ad essere una vita triste, grigia e monotona, mentre si trasformò in una vita piena di luce. Ho girato il mondo con lui e sono stato uno spettatore molto vicino al fenomeno non solo dal punto di vista del calcio ma anche dal punto di vista socio-politico che Diego rappresentava in ogni luogo. Penso che l’arrivo di Diego al Napoli sia stato ancora più importante dal punto di vista sociale, dal punto di vista della rivincita del sud, sempre bistrattato dal nord opulento. E che ce l’ha fatta. Suscitava passioni contrastanti, era tanto amato a Napoli quanto odiato, tra virgolette, tra le persone del nord”.
Che rapporto avevi con Diego? In fondo sei stato anche una figura paterna…
“Sì, abbiamo sempre avuto un rapporto meraviglioso. Un rapporto molto facile, molto semplice, mi cercava anche perché potessi aiutarlo. In questo modo non ho praticamente mai avuto problemi fino a quando ha iniziato a soffrire per la dipendenza dalla cocaina. I danni li conosciamo bene, da ogni punto di vista, anche dal comportamento. Lo disse lui stesso. Per giocare all’altezza in un campionato così impegnativo come quello italiano, non poteva concedersi il lusso di non allenarsi. E lo faceva.

Lo faceva con amore perché è sempre stato un appassionato di calcio: era il suo unico giocattolo sin da giovane. Veniva da un posto come Riva Fiorita, dove i limiti erano molti. E ha potuto scoprire molto presto che il calcio era l’unica possibilità che aveva per cambiare la sua vita e quella dei suoi cari. Ecco perché si aggrappò con le unghie e con i denti aiutato dalla magia del suo talento. Un ragazzo nato per giocare a calcio perché in quel periodo a Villa Fiorito non aveva possibilità di giocare a golf o giocare a rugby o giocare a polo, che sono sport di élite. Poteva giocare a calcio o forse fare il pugile e poco altro, perché non poteva nemmeno sognare, per esempio, la facoltà, l’università: le persone che nascono in quei posti non hanno quelle possibilità. Se fosse nato in un quartiere più ricco, avrebbe studiato, sarebbe stato un medico, un ingegnere, ma non sarebbe stato quello che è stato”.
C’è un aneddoto particolare tra i tuoi ricordi?
“Beh, sono infiniti, ovviamente, ma forse i più significativi. Come quando ha vinto il primo scudetto della storia del Napoli e ha dichiarato ai media che era felice: pianse per lo scudetto perché lo aveva vinto in casa. Diego considerava Napoli come la sua casa, mentre il Mondiale in Messico lo aveva vinto in un paese straniero e lontano dai suoi affetti. E poi dopo, a 10 giorni da quella conquista, parlando tra di noi e davanti a un gruppo di amici, disse “sì, lo aveva detto davvero, perché si sentiva così: un napoletano nato a Buenos Aires”.
Signorini, Maradona il genio ribelle
Maradona e l’incontro con il leader cubano?

“È stata una cosa incredibile, due personaggi di spicco a livello mondiale, soprattutto dell’età contemporanea. Il comandante Fidel Castro Ruz e Diego Maradona, due stelle che hanno brillato di luce propria, due uomini che hanno brillato quasi allo stesso modo, un amore smisurato e anche un odio molto marcato, ma sono quegli uomini che lasciano il segno per sempre nella storia dell’umanità. A volte penso, Laura, che si parli ancora, per esempio, di Aristotele, o di Platone, o di Ulisse…sono passati quasi 3.000 anni: a quel tempo non esistevano tv, radio, social e giornali per arrivare a noi. Immagina invece, per quanto tempo resisteranno persone come Diego e Fidel, penso che andranno fino all’ultimo sole della storia”.
Hai definito Diego come Ulisse: perché?

“Perché nella saga di Ulisse si racconta che, quando Ulisse deve tornare a Itaca per incontrare di nuovo la sua amata Penelope, la dea Circe gli dice che stanno per arrivare in un posto dove si trovano le sirene che emanano una cosa così irresistibile. Pertanto sarebbe stato meglio tapparsi le orecchie con la cera perché non sarebbero stati in grado di continuare ad avanzare e non sarebbero mai arrivati. Così ha fatto coprire le orecchie ai suoi uomini ma lui no: voleva vedere cosa provocava il canto delle sirene. Allo stesso tempo però si aggrappa all’albero per non cedere alla tentazione delle promesse delle sirene: è stato così che ha potuto superare quel luogo e raggiungere Itaca. Diego era come Ulisse anche lui non si è coperto le orecchie: ha voluto vivere la vita così, come voleva, una vita che però tanta gente ha criticato che invece avrebbe voluto vivere. Ma grazie all’ipocrisia o forse per la paura di una condanna sociale o che sua moglie lo schiaffeggiasse…non l’ha mai fatto”.
Quando hai visto l’ultima volta Diego?
“La notte in cui hanno tenuto la veglia funebre per Don Diego, suo padre, è stata l’ultima volta che l’ho visto, è stato l’ultimo abbraccio. E da lì è andato in qualche parte del mondo, ci siamo separati, dal punto di vista fisico ma non certo affettivo come è sempre stato e lo sarà per sempre: lui è rimasto qui in questa parte vicino alla spalla sinistra”.
Signorini un libro sul calcio
Hai scritto due libri “Inside Diego” e “Calcio, chiamata alla rivolta: la disumanizzazione del calcio”
“Sì, il secondo è un libro che fa una riflessione e una denuncia per le brutali esagerazioni che il sistema attua con i calciatori. Il calcio, nel mondo, è una costruzione culturale delle classi popolari. Non è nato nelle classi alte, ma ora il mondo dei grandi affari ha preso il sopravvento. Tanti hanno festeggiato l’ultimo Mondiale che si è svolto in un Paese dove per la costruzione degli stadi ci sono state più di 6.500 vittime, persone di origini molto umili come il padre di Diego.
I giocatori poi hanno un calendario pesante e si sovraccaricano troppo facendo aumentare la possibilità di infortunio, in cambio dell’immagine. Va detto anche che il sistema si è trasformato o meglio che, il sistema ha scoperto che il calcio è un’arma meravigliosa, come dice Noam Chomsky “per la manipolazione delle masse, per la stupidità e la frivolezza sociale”.
Credo che ci stiano trasformando in un gregge di pecore, che il potere gestisce a suo piacimento, al potere interessa solo il denaro, non la vita degli atleti che fanno sport, in questo caso non è calcio”.
Secondo te Diego nel calcio di oggi avrebbe difficoltà? Anche se faccio davvero fatica a pensarlo…
“No, sarebbe molto più facile, più semplice per lui, perché oggi posso dire che gli arbitri si sarebbero presi cura di lui in modo diverso. Diego è arrivato al Napoli dopo aver subito un brutto infortunio alla caviglia sinistra che si è fratturato il 24 settembre 1983 durante la partita contro l’Atlético Bilbao, fallo procurato da Andoni Goikoetxea.
Oggi gli arbitri tutelano i giocatori, i talenti di oggi, ed è un bene che li proteggano così: Diego sicuramente sarebbe stato ancora più decisivo di quanto lo fosse allora, su questo non ho assolutamente dubbi. Mettici dentro questo Napoli, una macchina fantastica, meravigliosa per giocare a calcio al di là della battuta d’arresto, secondo me ha fatto meglio se c’è troppo vantaggio ci si annoia in campionato…!
Credo anche che l’assenza di un marcatore straordinario sia iniziata come incidente nello sviluppo del gioco. Per me è già stato vinto lo scudetto ma dovremo puntare a fare le cose nel migliore dei modi possibile in Champions League per arrivare più in alto”.
Signorini e Spalletti
Si avvicina la primavera, cambiamento climatico è anche una certa stanchezza: hai consigli per Spalletti e il suo staff?
“No, no, non mi permetterei mai anche perché lo farei personalmente, in modo riservato, ma non posso essere così arrogante da permettermi di dare consigli ad un allenatore del suo calibro che sta facendo cose meravigliose.
L’unica cosa che direi è: ” Mister, buona fortuna”. Mi piacerebbe venire a Napoli per abbracciarlo, per congratularmi con lui e ovviamente per godermi le partite nello stadio che ora porta il nome di Diego”.
L’Argentina e il Napoli tra mondiale e scudetto sembra che abbiano delle affinità incredibili…
“Penso che ci siano delle cose che coincidono come se qualcuno stia tirando i fili. Credo molto nelle coincidenze. Il Napoli già esce con la bandiera per festeggiare il terzo scudetto….ci sono squadre che devono aspettare l’ultima giorno per festeggiare. Ragazzi Napoli per la terza volta, quest’anno, vincerà lo scudetto. Forza Napoli!!!”.
