“Se fino a questo momento sapevamo che nei mari italiani ci sono circa 129mila frammenti di plastica galleggiante per chilometro quadrato, ora grazie ad un rapporto presentato ad aprile 2022 dal WWF e dall’Istituto AWI abbiamo anche il dato dei frammenti di microplastiche sul fondo marino. Il più allarmante è per il mare Tirreno, sul cui fondo si trova la più alta concentrazione di microplastiche, equivalente a 1,9 milioni di frammenti per metro quadrato. Il mar Mediterraneo è uno dei mari più inquinati al mondo, oramai le microplastiche sono anche nel nostro sangue e nella placenta, il che vuol dire che ogni bambino prima ancora di nascere ha delle microplastiche in corpo”. La denuncia è stata pronunciata, nel corso del Forum Internazionale Polieco sull’Economia dei rifiuti, da Silvestro Greco, vicepresidente della Stazione Zoologica Anton Dohrn.
“Secondo uno studio dell’Università di Cagliari, in ogni gambero rosso e scampo – ha aggiunto Greco – ci sono circa 47 frammenti di plastica di vario tipo. Ogni anno nel Mediterraneo è come se venissero scaricati 700 container di plastica. Il primo paese che contribuisce è l’Egitto col 32 %, poi Italia col 15% segue Turchia col 10%. Una complessità che dovrebbe imporci di fermarci. Il tema non è salvare la Terra, perché vivrà benissimo senza di noi, il tema è la sopravvivenza della nostra specie visto che ogni settimana mangiamo 5 grammi di plastica, l’equivalente di una carta di credito. Tutto questo ha un diretto rapporto col nostro modello di sviluppo”. La dose è stata rincarata da Claudia Campanale (nella foto), ricercatrice del Cnr Irsa secondo la quale “la presenza nell’ambiente di microscopiche particelle di plastica, è stata recentemente rilevata in qualsiasi compartimento ambientale”.
“Le micro e nanoplastiche inquinanti – ha affermato Campanale – sono presenti in particolare nei suoli destinati all’agricoltura intensiva. Dove, spesso, viene utilizzata la pratica della pacciamatura: il posizionamento di teli per aumentare la resa agricola. La ricerca sulle microplastiche, però, nell’ambiente terrestre è attualmente in una fase ancora embrionale. La maggior parte delle indagini effettuate – ha aggiunto la ricercatrice – ha coinvolto plastiche convenzionali derivanti da combustibili fossili mentre studi sulla presenza di microplastiche “bio-based” nell’ambiente terrestre e dell’assorbimento di sostanze chimiche su microplastiche di origine biologica, sono quasi totalmente assenti”.
A tal proposito attraverso un accordo di collaborazione tra il Polieco ed il Cnr Irsa sarà effettuato uno studio degli impatti negativi sull’ambiente. In particolare sul suolo e negli ambienti acquatici di beni in asserita bioplastica ad uso agricolo.
