La sentenza sulla Strage di Via d’Amelio, le motivazioni confermano le convergenze tra Mafia e soggetti esterni. Ma la verità aspetta ancora da 30 anni. Ne abbiamo parlato con il professore Vincenzo Musacchio, criminologo forense, giurista, ricercatore ed esperto di strategie di lotta al crimine organizzato.
Professore a trent’anni dalla strage di via d’Amelio, oggi leggiamo anche le motivazioni della sentenza. Nero su bianco sulla convergenza tra Cosa Nostra e soggetti esterni. Trent’anni sono davvero tanti. Secondo Lei perché la verità deve aspettare così tanto?
“Il tema della ragionevole durata del processo è suffragato in due norme importanti: l’art. 111, comma 2, Cost. secondo cui la “La legge assicura la ragionevole durata del processo…” e l’art. 6, par. 1, Cedu in base al quale “Ogni persona ha diritto a un’equa e pubblica udienza entro un termine ragionevole, davanti ad un Tribunale indipendente e imparziale costituito per legge”.

Siamo di fronte a principi molto importanti che dovrebbero essere ancor più stringenti in un processo di mafia. Nel caso in questione, sono decorsi trent’anni dalla strage e qualcuno ha voluto deliberatamente nascondere la verità o non disvelarla totalmente, nascondendosi proprio dietro il tempo trascorso.
Esiste però un diritto delle vittime e dei loro prossimi congiunti di conoscere la verità che in questo processo penale è stata negata.
Lo stesso Collegio scrive – a ragion veduta – che “il diritto alla verità è un fondamentale diritto della persona umana nell’ambito del quale si fondono sia la prospettiva individuale sia quella collettiva”. Aggiungo io che hanno diritto a questa verità non solo le persone direttamente coinvolte, ma anche noi semplici cittadini.
Verità e giustizia sono state allontanate proprio perché si è voluto far passare molto tempo dall’accadimento del fatto”.
C’è da chiedersi chi sono i “soggetti esterni” e qual è la responsabilità dello Stato?
“I soggetti esterni sono senza dubbio pezzi delle istituzioni pubbliche infedeli e corrotte. C’è stata un’evidente “omertà” di Stato.

I giudici nella sentenza scrivono di “un inquinamento probatorio così importante da impedire di ricostruire il movente della strage avvenuta in via d’Amelio certificando, di fatto, la necessità per soggetti esterni a Cosa Nostra di intervenire per alterare il quadro delle investigazioni evitando che si potesse indagare efficacemente sulle matrici non mafiose della strage e, in ultima analisi, disvelare il loro coinvolgimento nella strage di via d’Amelio”.
“Movente della strage e finalità criminale di tutte le iniziative volte allo sviamento delle indagini su via d’Amelio sono intimamente connesse”.
La convergenza d’interessi c’è ed è evidente. L’utilizzo di Vincenzo Scarantino realizzerà il più grande depistaggio della storia giudiziaria italiana. Sedici anni, contrassegnati dalla complicità di molti, dall’incompetenza e dalla superficialità della macchina giudiziaria per ben nove gradi di giudizio e dall’incostanza di tanti giudici. Lo Stato è responsabile perché non ha fatto tutto il possibile per salvare i suoi uomini più fedeli ai valori dalla legalità e della democrazia”.
Non è un mistero che il giudice Paolo Borsellino prima di morire quel 19 luglio disse alla moglie “Quando sarò ucciso sarà la mafia a colpirmi ma saranno altri ad aver voluto la mia morte”. Che cosa voleva dire a suo parere con questa frase?
“Ce lo dice meglio e in maniera molto più chiara anche Giovanni Falcone quando scrive testualmente: <<In Sicilia la mafia colpisce i servitori dello Stato che lo Stato non è riuscito a proteggere>>.

Borsellino con la sua frase voleva molto semplicemente denunciare la solitudine e il tradimento, anche da parte dei suoi colleghi, che sia lui, sia Giovanni Falcone prima di lui, avevano sentito pressante intorno a loro.
Troppe omertà, omissioni, negligenze e complicità di pezzi deviati di Stato che hanno – con dolo o colpa grave – agevolato notevolmente la mafia e quei gruppi di potere che l’hanno guidata.
Paolo Borsellino, se lo Stato si fosse impegnato con tutte le sue forze, poteva essere salvato, ma probabilmente a tanti faceva più comodo morto che in vita”.
Vincenzo Musacchio, criminologo forense, giurista, associato al Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies (RIACS) di Newark (USA). È ricercatore indipendente e membro dell’Alta Scuola di Studi Strategici sulla Criminalità Organizzata del Royal United Services Institute di Londra. Nella sua carriera è stato allievo di Giuliano Vassalli, amico e collaboratore di Antonino Caponnetto, magistrato italiano conosciuto per aver guidato il Pool antimafia con Falcone e Borsellino nella seconda metà degli anni Ottanta. È tra i più accreditati studiosi delle nuove mafie transnazionali. Esperto di strategie di lotta al crimine organizzato. Autore di numerosi saggi e di una monografia pubblicata in cinquantaquattro Stati scritta con Franco Roberti dal titolo “La lotta alle nuove mafie combattuta a livello transnazionale”.
È considerato il maggior esperto europeo di mafia albanese e i suoi lavori di approfondimento in materia sono stati utilizzati anche da commissioni legislative in ambito europeo.
VINCENZO MUSACCHIO – CRIMINOLOGO
Associated to the Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies (RIACS) in Newark.
Researcher and member of the Strategic Hub for Organized Crime (SHOC) at Royal United Services Institute (RUSI) in London.
