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Il premier Mario Draghi, nel corso di una recente riunione, ha affermato che l’Unione Europea “sta mostrando un volto meno arcigno”. Evidente la sua soddisfazione nel pronunciare tali parole.

Il problema, però, è capire se esse corrispondano davvero alla realtà fattuale e, a questo proposito, sorgono molti dubbi. La UE, finora, si è caratterizzata per un’attenzione spasmodica ai conti e al pareggio di bilancio. I “parametri di Maastricht” sono stati – sempre finora – la sua vera stella polare.

La guerra in Ucraina ha sconvolto tutto, dimostrando che a volte, per non dire spesso, i fattori politici sono più importanti di quelli economici. Affermazione che, fino all’anno scorso, avrebbe fatto tremare i polsi ai grandi burocrati di Bruxelles.

Sono loro a contare davvero nelle sedi UE, certamente assai più di Commissione e Consiglio europei. E i grandi burocrati hanno sempre adottato in ogni questione un approccio molto ortodosso, che potremmo anche definire “liberale classico”.

Come dicevo dianzi l’aggressione russa all’Ucraina ha fatto saltare il quadro. Ora sembra che la priorità sia accelerare il più possibile l’entrata dell’Ucraina nell’Unione, aggiungendovi pure la Moldova e la lontanissima Georgia (che sta nel Caucaso).

Senza dubbio il mallevadore inconsapevole dell’operazione è Vladimir Putin che, aggredendo il Paese vicino, ha compattato una UE che prima appariva assai divisa.

Tutto bene e tutto bello. Ma si dà il caso che l’Ucraina fosse considerato uno “Stato fallito” già prima dell’invasione russa. La Moldova, dal canto suo, è la nazione più povera d’Europa, e la Georgia non sta molto meglio.

Che fare, dunque? E’ ovvio che il tradizionale approccio UE va radicalmente mutato se si vuole continuare così. I parametri di Maastricht non sono più così importanti, e la salvezza dell’Ucraina sale al primo posto.

Tuttavia i problemi non sono affatto finiti. In Europa ci sono altre nazioni “candidate” all’adesione UE, e che vengono tenute in stand by da tantissimo tempo. Parlo in particolare dell’Albania e della Macedonia del Nord.

Giustamente questi Paesi si sono vigorosamente lamentati per una disparità di trattamento che è innegabile. Si può rispondere che nessuno li ha invasi, ma dubito che tale argomentazione possa convincere i governanti di Tirana e di Skopje.

Lecito quindi attendersi che tensione e polemiche aumentino. La sempre sorridente Ursula von der Leyen è preparata ad affrontare la situazione? E si rende conto oppure no che la nuova strategia rende la UE un’entità ben diversa da quella che conosciamo?

Senza scordare le polemiche dovute alla precedente entrata di alcune nazioni dell’Europa dell’Est (tipico il caso della Polonia) che hanno poi rifiutato di adeguarsi alle regole di Bruxelles su parecchi temi importanti.

Si spera insomma che i leader europei, nei prossimi summit, dicano qualcosa di chiaro in proposito, anche perché gli attuali cittadini dell’Unione vorrebbero sapere dove essa stia andando.

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