Accadde oggi: 50 anni fa moriva Sergio Ramelli il ragazzo dai “lunghi capelli” vittima dell’odio politico
Gli anni ’70 del secolo scorso sono stati anni tremendi per i giovani che facevano politica, indipendentemente dallo schieramento politico. Molte sono state le giovani vite spezzate da entrambe le fazioni: se a sinistra ancora oggi si ricordano i nomi di Paolo Rossi, Claudio Varalli, Giannino Zibecchi, Fausto Tinelli e Lorenzo “Iaio” Iannucci, dall’altra parte la lista non è affatto corta. Dal 18 aprile 1970, giorno in cui morì a Genova l’operaio della CISNAL (sindacato missino) Ugo Venturini, al 9 febbraio 1983, data della morte di Paolo Di Nella, militante romano del Fronte della Gioventù, furono numerosi i ragazzi di destra a rimanere sul selciato. Oggi, 29 aprile, si ricorda il cinquantesimo anniversario della scomparsa di Sergio Ramelli, il ragazzo dai “lunghi capelli” ucciso a Milano dall’odio politico del tempo. L’unica colpa di questo giovane milanese, classe 1956 e studente dell’ITIS “Ettore Molinari”, era quella di essere stato libero in un periodo burrascoso della vita politica italiana.
La sua condanna a morte fu, infatti, legata a un tema di italiano in cui condannava i terroristi delle Brigate Rosse per il duplice omicidio compiuto l’anno prima nella sezione dell’MSI di Padova (quello che fu il battesimo del fuoco della nota organizzazione terroristica di stampo comunista). Ramelli, inoltre, biasimò la politica del tempo per il mancato cordoglio istituzionale alle due vittime, Mazzola e Giralucci. L’elaborato del giovane militante del FdG fu sottratto al professore dai militanti di sinistra e affisso nella bacheca della scuola come capo d’accusa nei suoi confronti, decretandolo un fascista. Da allora iniziò un autentico calvario per Sergio Ramelli, che lo costrinse addirittura a cambiare istituto. Nessuno sembrava ritenere necessario proteggerlo; del resto, Milano era pur sempre la stessa città che aveva assistito, inerme, alla morte annunciata del commissario Calabresi.
La spirale di odio nei confronti del giovane missino ebbe come tragico epilogo l’aggressione sotto casa, in via Amedeo, del 13 marzo 1975, da parte di un gruppo di militanti dell’organizzazione comunista Avanguardia Operaia. Il commando era composto da studenti di medicina che non avevano nulla a che vedere con Sergio Ramelli, come Marco Costa, Giuseppe Ferrari Bravo e Claudio Scazza. L’arma usata per colpire il povero Sergio fu una chiave inglese modello Hazet 36. In seguito a quella vile aggressione, la sinistra extraparlamentare adottò come slogan “Hazet 36 fascista, dove sei?”.
Dopo 47 lunghi giorni di agonia all’Ospedale Maggiore di Milano, dove fu vegliato dalla famiglia, con in testa mamma Anita, e dagli amici, Sergio Ramelli spirò il 29 aprile 1975. La sua morte fu accolta dallo squallido applauso del consiglio comunale di Milano (fonte: Cuori Neri di Luca Telese, ndr). Il suo feretro, nel giorno del funerale, fu portato a spalla anche dal segretario del Movimento Sociale Italiano-Destra Nazionale, Giorgio Almirante, e alcuni colpevoli dell’omicidio, nonostante le condanne, anni dopo divennero affermati medici (solo in Italia). A distanza di 50 anni dalla morte di Ramelli, il Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha ricordato così il militante del Fronte della Gioventù: “Cinquant’anni fa si spegneva la sua giovanissima vita. Una morte tanto brutale quanto assurda, e forse per questo divenuta un simbolo per generazioni di militanti di destra di tutta Italia. Siamo chiamati a interrogarci su quello che ancora oggi ci può insegnare il suo sacrificio”.
Oggi più che mai, la storia di Sergio Ramelli e di tutte le vittime degli Anni di Piombo deve essere fonte di riflessione, per farci comprendere che, pur nelle diverse visioni, si può essere avversari senza essere nemici. Purtroppo, assistiamo ancora oggi a episodi di intolleranza politica che richiamano alla memoria quel buio periodo della nostra storia repubblicana. Ne sono esempio il convegno pro-life bloccato all’Università di Milano o lo slogan “Fuori i fascisti dalle università” rivolto agli studenti di Azione Universitaria. Abbassare i toni da entrambe le parti e riscoprire il rispetto per l’altro potrebbe essere il primo passo verso una vera pacificazione nazionale — quella che, dal 1945, non si è mai pienamente realizzata — per diventare finalmente un Paese più civile, dove si possa manifestare liberamente, senza paura.