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Il 1973 per Van Morrison fu un anno memorabile. Non solo perché veniva da un
periodo di grandi successi che era stato inaugurato tre anni prima con la
pubblicazione di Moondance, uno dei suoi best seller, ma soprattutto per via dei
live che stata affrontando in quel periodo. Il tutto come ben sappiamo venne
immortalato nei due dischi live ufficiali pubblicati nel 1974 dal titolo It’s Too Late To
Stop Now. Qui possiamo ascoltare come Morrison abbia plasmato una band che
risponde al nome di Caledonia Soul Orchestra, gruppo composto da una solida
sezione fiati, un quartetto d’archi, chitarra elettrica, basso, piano, organo e batteria:
dieci elementi per colorare e supportare il suo leader; un Van Morrison
assolutamente stratosferico, in uno stato di forma e di grazia senza precedenti.
Dal punto di vista compositivo l’autore era reduce degli album His Band and Street
Choir e Tupelo Honey, ottimi lavori e buoni successi commerciali, ma soprattutto
aveva pubblicato Saint Dominic’s Preview solo un anno prima di Hard Nose the
Highway, le cui sessions furono completate tra l’agosto e l’ottobre del 1972. Questo
settimo lavoro in studio è un disco diverso, sia in termini di ispirazione, sia dal
punto di vista musicale e contenutistico. Si tratta in effetti di un album che si spinge
oltre, rispetto a quanto era stato realizzato con gli ultimi quattro dischi. Appare
evidente già leggendo i credits, dato che qui troviamo ben due brani non autografi:
Bein’ Green e la meravigliosa canzone tradizionale Purple Heather, riarrangiata per
l’occasione. Morrison compone di proprio pugno sei brani, uno diverso dall’altro. Il
lavoro inizia col botto dato che l’apertura è affidata all’inusuale Snow In San
Anselmo, brano intrigante sorretto dal suggestivo coro a opera della Oakland
Symphony Chamber Chorus che si sviluppa su un pattern di batteria quasi
swingante. La struttura del pezzo è esemplare quanto efficace. Nelle strofe la band
suona in modo minimale ed etereo, mentre nella progressione di accordi crea un
effetto stomp sofisticato e straniante. Non a caso è uno dei pezzi meno scontati del
catalogo morrisoniano anni settanta. Segue un brano che ha subito conquistato i
fan di Van Morrison: la suggestiva ed elegiaca Warm Love. La canzone è sorretta
da un arrangiamento fantasioso, brillante ed efficace. La voce di Morrison ci
trasporta attraverso questo caldo amore. Chitarre acustiche, flauti, batteria che
gioca sulle dinamiche fondamentali. Raramente possiamo sentire un disco così ben
prodotto che suona allo stesso tempo con la stessa intensità di un live. L’abilità del
Nostro autore di lavorare sugli arrangiamenti è già prodigioso e quando azzecca il
riff, la strofa e il chorus giusto, c’è poco da fare e dire. Un altro bel colpo arriva con
la title track, posizionata come terza traccia dell’album. Non c’è tempo per farsi
lustrare le scarpe quando cerchi di guadagnarti da vivere, afferma il Nostro. C’è
solo tempo per produrre grande musica, qui. Wild Children è dedicata alla
generazione nata nel secondo dopoguerra che è cresciuta attraverso immagini di
antieroi americani come quelli interpretati da James Dean, Marlon Brando, Rod
Steiger e il drammaturgo Tennessee Williams. Van Morrison utilizza qui ancora una volta il concetto di Wildness, di cui successivamente si approprierà un altro cantautore talentuoso come il collega statunitense Bruce Springsteen.

The Great Deception secondo il biografo Richie Yorke è “una delle accuse più pungenti da
qualsiasi osservatore, per non parlare di un artista rock, della tragica ipocrisia di
tanti partecipanti alla sottocultura, in particolare il big-time rock star di questa era.
Bein’ Green è la prima composizione non autografa che Van Morrison include in un
album Warner Bros. “Era solo un’affermazione che non devi essere sgargiante. Se
a qualcuno non piaci solo perché sei una certa cosa, allora forse sta vedendo la
cosa sbagliata”, afferma egli stesso. A proposito di “Autumn Song”, memorabile
suite di durata importante (oltre dieci minuti!) un critico dirà: “Non posso negare che
sia la canzone più funky sugli splendori e gli umori dell’autunno che sia mai passata
attraverso le mie orecchie”. Senza dimenticare come a livello tematico, diventerà
un brano seminale per il Morrison post-settanta. La canzone finale, “Purple
Heather” è la tradizionale “Wild Mountain Thyme” scritta da F. McPeake come
variante di “The Braes of Balquhidder” di Robert Tannahill, riarrangiata in maniera
impeccabile da Van Morrison. Contribuiscono alla buona riuscita del disco il nucleo
di musicisti che è diventato una presenza fissa per gli spettacoli live di Van
Morrison. Citiamo almeno Gary Mallaber alla batteria, David Haynes al basso, Jef
Labes al piano, John Platania alla chitarra, Jack Schroer al sax, Bill Atwood alla
tromba, ma più in generale il tenore degli strumenti presenti in queste sessioni è di
livello eccelso, per questo settimo lavoro in studio, che verrà pubblicato nel mese di
agosto del 1973, per conto della Warner Bros.


Il giudizio della critica

L’album ha goduto di ottime recensioni al momento dell’uscita. Per Charlie Gillett “il
problema di Hard Nose the Highway è che sebbene la musica sia spesso
interessante, non ha una base emotiva convincente. Nonostante la mancanza di
ispirazione e di focalizzazione melodica, il disco è attraente da ascoltare. Ma Van
Morrison ha fissato standard elevati per sé stesso e Hard Nose the Highway non è
all’altezza di loro.” Per Stephen Holden “Hard Nose the Highway è
psicologicamente complesso, musicalmente irregolare, liricamente eccellente.
Profondità liriche più ricche rispetto al solito, maggiormente accessibili rispetto ai
suoi predecessori. Il tema principale è la nostalgia, brevemente ma fermamente
contrapposta alla disillusione.” Secondo Erik Hage, “Hard Nose the Highway
sembra aver subito molte critiche inutili – molti commentatori lo considerano il suo
album peggiore e meno ispirato – forse perché fa seguito a una sequenza notevole
di album: su tutti Saint Dominic’s Preview che lo precede e Veedon Fleece che lo
seguirà. Tuttavia il disco ascoltato oggi in una prospettiva retrospettiva e storica,
appare come un gioiello prezioso e brillante, stupefacente fermo immagine di
un’epoca gloriosa e perduta per il pop rock d’autore dell’epoca.


<< Il mondo è pieno di selvaggia, ruggente bellezza. Tocca a noi coglierla,
sentirla, farla temporaneamente nostra. Solo un attimo di splendente illusione
e vacuità. Erica viola, che mi guidi nel cammino perpetuo, nello scorrere
inesorabile dell’ultima era, di questo triste stanco mondo. >> (Van Morrison)