E’ innegabile che per un lungo periodo di questa disgraziatissima stagione il Napoli sia stato in grande difficoltà, alternando fiammate capaci di richiamare alla memoria la “creatura” dominante dell’anno prima, a lunghi momenti di scarsa brillantezza e reattività. Un rendimento talmente altalenante, da fare letteralmente a pezzi tutte le certezze dei Campioni d’Italia, determinandone, al contempo, una perdita di credibilità nei confronti della concorrenza. Almeno in ottica alta classifica.
Garcia aveva esposto i limiti della squadra, privandola della proverbiale aggressività. Una caratteristica che durante la gestione Spalletti consentiva di reinterpretare tatticamente ogni potenziale conseguenza negativa derivante dalla perdita di possesso. Così da reggere le inevitabili sbavature di un giropalla intenso e qualitativo. Mazzarri, invece, pensava che l’unica cura plausibile fosse chiudere gli spazi all’avversario di turno. Trascurando però un piccolo particolare: compattarsi nella propria metà campo inaridiva le capacità offensive degli azzurri, che hanno cominciato a creare davvero molto poco là davanti. Un’allarmate fatica a trovare soluzioni in attacco, acuita ovviamente dall’assenza di Osimhen.
A sinistra interscambi posizionali
Calzona non ha fatto altro che ridare una precisa identità al Napoli, attraverso principi riconoscibili dal gruppo, in grado di aumentare il valore dei singoli, in funzione del collettivo. Calcio fluido e contemporaneo, palesemente in antitesi con la filosofia un po’ démodé del suo predecessore. L’idea maggiormente propositiva postulata dal commissario tecnico della Slovacchia cerca di cambiare lo status dei partenopei, attualmente derubricato a posizioni di rincalzo, rispetto a chi insegue scudetto e Champions League.
Al netto della storica rivalità con la Juventus, la vittoria di domenica trascende il mero valore simbolico, perché dimostra non solo la vitalità degli azzurri nella gestione del pallone. Ma anche una innegabile abilità nel sopportare lunghe fasi di sofferenza, alla stregua del pugile messo alle corde, che incassa rimanendo comunque fiducioso, consapevole di saper reagire. Traendo il massimo profitto dall’atteggiamento marcatamente aggressivo predisposto da Allegri, chiaramente intenzionato a disinnescare il gioco associativo dei padroni di casa, andando uomo su uomo. Specialmente in situazione di immediato spossessamento. Evidente che il Conte Max volesse recuperare palla in alto, puntando poi velocemente verso la porta. Dunque, le connessioni tra esterni e mezzali, arricchite dallo scambio di posizione tra chi occupava i mezzi spazi e chi garantiva l’ampiezza, sono stati l’antidoto al pressing della Vecchia Signora.
Effettivamente, le peculiarità di Kvaratskhelia e Traoré di interconnettersi nello stretto, hanno permesso al Napoli di uscire vivo da una partita che diventava progressivamente sempre più “sporca”, fatta di duelli e seconde palle contese a suon di sportellate. Uno scenario assai fisico, che gli uomini di Calzona hanno mandato a vuoto, con gli inserimenti dell’ivoriano alle spalle di Alcaraz. La Juve ha faticato non poco a gestire questa giocata, poiché nel frattempo Cambiaso non poteva fornire adeguata copertura preventiva, dovendo assorbire la verticalità del georgiano.
“Vecchio” Napoli a destra
Sul lato opposto del campo il Napoli s’è mantenuto pericoloso sfruttando le classiche rotazioni di Politano, Anguissa e Di Lorenzo.
Non a caso, proprio un cross del capitano ha prodotto l’assist per l’1-0 di Kvara. La mobilità della catena destra ha dato vita ad abbinamenti complicati da decodificare per la retroguardia juventina. Politano, accoppiato con Alex Sandro, si abbassava molto per ricevere lo scarico. Oppure si accentrava in conduzione, innescando un doppio trigger: la sovrapposizione del terzino, piuttosto che la ricerca dello spazio interno. Con il camerunese che sfilava dietro Miretti.
Insomma, nelle pieghe di un campionato finora decisamente avaro di soddisfazioni, all’ombra del Vesuvio vorrebbero sfruttare l’entusiasmo generato dalla vittoria sulla Juventus per tentare di ribaltare l’apparente ineluttabilità di un post scudetto altrimenti fallimentare.
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