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Cosa aspettarsi dal torneo maschile di calcio – uno dei più attesi di Parigi 2024 – ormai è risaputo. Con le due sfide che hanno deciso le finaliste, il quadro è davvero completo. Rispettando tutti i pronostici della vigilia, le grandi favorite, cioè Francia e Spagna, si giocheranno l’Oro. Mentre Egitto e Marocco dovranno accontentarsi della “finalina”. Che mette in palio un preziosissimo Bronzo. Comunque gratificante, dopo aver rincorso la storia, a caccia del terzo clamoroso successo alle Olimpiadi per una nazionale africana, impresa riuscita solo a Nigeria (1996) e Camerun (2000).

Insomma, già esserci rende l’aforismo del barone Pierre de Coubertin, fondatore dei moderni Giochi Olimpici (“L’importante non è vincere, ma partecipare…”), di gran lunga più importanti di una eventuale medaglia. Una visione pura e disinteressata di un evento così globale, che stride un po’ con l’assenza di una nazione trainante in questa disciplina. Vale a dire, l’Italia. Che manca da ben quattro edizioni. Poi soltanto delusioni e fallimenti. L’ultima partecipazione risale ad Atene 2004: la squadra di Claudio Gentile si mette al collo una meritatissima medaglia di Bronzo. Con un pizzico di fortuna in più poteva essere anche di un metallo diverso. 

La sua Under21, non proprio “under” per via delle regole a cinque cerchi, che rendono elegibili giocatori massimo di 23 anni, con l’aggiunta di tre fuori quota, è un azzardo fondato sulla bellezza. Quando Gentile dirama la lista dei convocati, fa una scommessa sul futuro, compiendo scelte suggestive, che arrecheranno beneficio pure alla Nazionale A appena due estati dopo. Inconsapevole che di lì a breve il suo futuro diventerà complicatissimo. Mai il commissario tecnico avrebbe immaginato il contesto in cui si sarebbe dipanata successivamente la sua esperienza professionale. Mentre qualcuno dei suoi ragazzi entrava nell’Olimpo degli eroi di Berlino.

Una Under tutta d’Oro

Qualche settimana prima delle Olimpiadi di Atene, l’Under21 strappa applausi e fa stropicciare gli occhi, conquistando per la quinta volta il titolo continentale, asfaltando in finale la Serbia e Montenegro. Vittoria rivalutata con colpevole ritardo, poiché rimane l’ultimo europeo di categoria conquistato dagli Azzurrini.

Inseriti nel Girone B, il viaggio ai Giochi 2004 inizia pareggiando col Ghana. Prosegue con la vittoria contro il Giappone e il ko incassato dal Paraguay. Una caduta innocua, da dimenticare in fretta. Mali nei Quarti e Iraq nella “finalina” sono le parentesi positive. Inframezzate dal boccone amaro inghiottito in Semifinale al cospetto dell’Argentina (poi vincitrice dell’Oro sul Paraguay…). Un peccato, ma l’Albiceleste del “Loco” Bielsa è davvero inarrivabile. L’Italia deve accontentarsi del gradino più basso del podio. Il Bronzo non spazza via i sacrifici e va festeggiato in ogni caso.

Il centrocampo è l’anima dell’Olimpica, qualità e quantità erogata a gettito continuo da De Rossi, Pinzi e Palombo, che lottano e governano al contempo, garantendo organizzazione tattica in entrambe le fasi. Pellizzoli andrà protetto adeguatamente. Del resto, per essere felici, servono nervi saldi. Perciò Bonera, Bovo e Ferrari saranno lo zoccolo duro della retroguardia. Con Barzagli e Chiellini che assicurano un piano B per ogni evenienza. In avanti, un cannibale dell’area di rigore, implacabile negli ultimi sedici metri: Alberto Gilardino la butta dentro con una certa costanza. Ma è anche la squadra di Andrea Pirlo. Col Milan è abituato a calpestare la trequarti. Lontano dunque dal regista stellare in cui si trasformerà negli anni a seguire. Il passo comunque compassato, abile palla al piede e in grado di illuminare la manovra, immaginando spazi dove altri vedono solamente muri.

Per alcuni di loro il bronzo rappresenta un punto d’arrivo. Passeranno sottotraccia ai massimi livelli. Altri diventeranno dei veri fenomeni. Ma il talento, in quel gruppo formidabile, è talmente alto, che emergere diventa complicato pure per giovani di belle speranze come sono tutti loro. Che studiano agli ordini di Gentile, prendendo appunti per diventare grandi.

Troppo onesto per “Calciopoli”

A distanza di vent’anni, col tempo che scorre inesorabilmente, la nostalgia non cancella il dolce ricordo di una medaglia che non invecchia mai. E con essa, l’idea stessa della meritocrazia sportiva. Forse un valore decisamente sorpassato, ma per Gentile rimane un manifesto di normalità. Baluardo alle scorciatoie e all’arrivismo. Una tenace resistenza che il Campione del Mondo ’82 ha sempre sostenuto. Figlia di una disavventura che a tutt’oggi trova difficilmente spiegazione. E che non appartiene assolutamente al suo modo di pensare ed agire. Anzi, dimostra chiaramente che lo sport non è slegato dal Potere. E le congiure di Palazzo sono sempre dietro l’angolo.

L’ombra del complotto è un tema ancora attuale. Rievoca sinistramente i giorni di Calciopoli. Nessuno era in grado di prevedere che tipo di conseguenze avrebbe prodotto l’ennesimo scandalo nel calcio italiano, arrivato nel pieno della preparazione al Mondiale 2006. I giorni che precedono la spedizione in Germania generano una crisi istituzionale, con la Politica che invade la scena, avvelenando il ritiro di Coverciano. Con la classica mossa del pokerista privo di pazienza e lungimiranza, in tanti (e tante…) si espongono, osteggiando la partenza dell’Italia. Senza valutare le potenzialità degli uomini di Lippi. Che invece raggiungono un risultato epocale.

Da quell’estate è accaduto di tutto. In primis, l’inizio di una strisciante campagna di disinformazione, con l’obiettivo di minare la fiducia dell’ambiente nel c.t. della Under21, spaventando chiunque volesse offrirgli un incarico, amplificando velatamente il rischio di ritorsioni. Interrompendo irrimediabilmente una carriera in panchina che sembrava al contrario lanciatissima. E che andava bel oltre un gesto di riconoscimento per il valore di chi aveva lungamente onorato la Nazionale. Prima in campo, quindi sulla panchina, organico al Settore Tecnico della Federazione. Una sfida raccolta con coraggio da chi, in altre epoche, aveva indossato orgogliosamente quella maglia iconica.

Come da rituale, una volta appesi gli scarpini al fatidico chiodo, Gentile entra nello staff di Giovanni Trapattoni con grande ottimismo e apertura mentale. Una sorta di doveroso apprendistato per mettere alla prova strumenti e situazioni da usare quando il titolare sarà lui. Oltre ad aver ricoperto l’incarico di vice-Trapattoni, Gheddafi, soprannome appiccicatogli addosso come un tatuaggio, forse a causa delle sue origini, essendo nato a Tripoli, aveva allenato l’Under20. Poi dall’ottobre 2000 gli venne affidata la panchina dell’Under21.

Il resto è storia e pregiudizio. Oggi Gentile si aggrappa alla sua ostinatezza. D’altronde, la bellezza delle Olimpiadi risiede proprio nel diffondere storie di sport positive. Veicolando la piacevole sensazione che il futuro esista ancora. E si basa esclusivamente sulla meritocrazia. 

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