Daitarn 3, il finale dell’anime
Il finale di Daitarn 3: tra dubbi, teorie e nessuna certezza sulla vera natura dei personaggi in un finale aperto a più interpretazioni
La settimana scorsa abbiamo parlato di Zambot 3, uno degli anime più drammatici dell’animazione arrivata in Italia nel 1981, realizzato da Yoshiyuki Tomino e prodotto dalla Sunrise.
Il percorso artistico di Tomino ha una tappa fondamentale che è rappresentata da un altro anime famosissimo che qui da noi ha avuto molto più successo ed è sicuramente tra i più amati dal fandom italiano.
Stiamo parlando di Daitarn 3, il robot guidato da Haran Banjo, l’affascinante marziano dai capelli verdi che fa della sua lotta contro i Meganoidi la sua ragione di vita.
Un anime che in quanto a narrazione va in netta contrapposizione con Zambot 3 che lo precede di un anno. Non più toni cupi e tragedie ma molte gag e una sceneggiatura molto più leggera che contrappone i due anime come se fossero il sole e la luna. E forse, non a caso, l’arma finale dei due robot rispecchia il mood delle rispettive serie, “Attacco Lunare” per Zambot 3 e “Attacco Solare” per Daitarn 3.
Daitarn 3, prodotto dalla Sunrise, è quindi un anime che si distingue per un tono più leggero e avventuroso ma ad un avisione più attenta, affronta tematiche distopiche tutt’altro che banali.
Protagonista della serie è Haran Banjo che vive con l’obbiettivo (ossessione?) di sconfiggere i Meganoidi, una razza di esseri umanoidi potenziati artificialmente dal Professor Haran, padre dello stesso Banjo, i quali aspirano a sostituire l’umanità con una razza “superiore” e meccanizzata.
Attorno a Banjo ruota un cast decisamente carismatico e diversificato:
- Reika Sanjo, ex agente segreto e figura di equilibrio
- Beauty Tachibana, frivola ma leale
- Garrison Tokida, maggiordomo e figura paterna
- Toppi, il ragazzino orfano che incarna il pubblico giovane
L’umorismo, il fascino e la leggerezza convivono con momenti di pathos e riflessione, creando un equilibrio che ha reso la serie un cult anche grazie anche a due elementi tutti italiani: la sigla tv interpretata dai Fratelli Balestra con lo pseudonimo “I Micronauti” e chiamata erroneamente “Daitan” (senza la r) e all’iconico doppiaggio italiano del 1980 capitanato dalla voce di Renzo Stacchi, divenuto parte della memoria collettiva seppur con degli errori che hanno reso confuso il finale a causa delle modifiche apportate dall’adattamento.
L’ultimo episodio: due finali per due generazioni
Se nella prima edizione del doppiaggio, alla fine dello scontro tra Koros e Don Zauker, Banjo sembra uscirne come l’eroe che salva la terra dall’invasione dei Meganoidi, il doppiaggio della Dynit del 2000 cambia le carte in tavola restituendo ai fan la versa versione del finale con dei dialoghi molto diversi e un senso del finale totalmente diverso.
Il primo aspetto che viene alla luce è l’egoismo accecante di Banjo che di fatto fa nascere la guerra. Una guerra intrapresa contro il padre Haran Sozo non tanto perché ha creato i Meganoidi ma perché per dedicarsi a questa “invenzione” abbandona lui e la madre che poi viene detto essere stata uccisa insieme al fratello proprio dai meganoidi.
E quindi la prima domanda è: “Haran Banjo combatte i meganoidi perché sono cattivi o sono i meganoidi che si stanno difendendo dalla furia di Banjo scaturita dall’odio verso il padre per i motivi di cui sopra?”
Nell’ultimo episodio, Koros parla con Don Zauker e del Daitarn che Banjo ha rubato su Marte (questa cosa avviene prima dell’inizio della serie tv) e dalle sue parole si capisce chiaramente che non ha interesse alla colonizzazione della Terra e che questa guerra contro Banjo è più un pensiero che uno scopo e che lei vorrebbe solo recuperare il Daitarn e riportarlo su Marte.
Nello scontro finale, Don Zauker ritrova la parola e intraprende una discussione con Haran Banjo sostenendo di ricordarsi di lui e di quando era ancora un bambino e questa cosa porta alla seconda domanda: “Se Don Zauker è un Meganoide costruito da Haran Sozo, come può ricordarsi di Banjo?”.
E qui iniziano le teorie e le congetture dei fan, mai confermate da Tomino che si agganciano alle parole di Banjo esclamate dopo la morte di Koros:
- Doppiaggio storico: “hai avuto quello che ti meritavi, maledetta”
- Doppiaggio nuovo: “Che cosa ho fatto…”
C’è una grande differenza tra le due frasi a cui si aggiunge un particolare grafico importante: mentre esclama questa frase, il suo volto è testo, gli occhi sbarrati, il sudore gli bagna la fronte con delle goccioline che, spesso, nell’animazione giapponese sono associate alla consapevolezza di aver fatto qualcosa di sbagliato.
Inoltre la battuta finale di Banjo, “Quelli che volevano distruggere l’umanità… erano poi così diversi da noi?”, capovolge completamente il significato della vittoria. Non c’è trionfo, ma un’amara riflessione sull’identità umana, sulla paura del diverso e sul rischio che la stessa umanità possa imboccare la strada della disumanizzazione. La risata di Banjo non è allegra: è nervosa, quasi isterica, segno della consapevolezza che la linea tra eroe e carnefice è sottile.
Questa differenza di adattamento non è solo una sfumatura: cambia il senso stesso dell’intera serie. Dove il primo doppiaggio mitizzava l’eroe e semplificava il messaggio, il secondo mette in evidenza la complessità della visione di Tomino, che già in Zambot 3 aveva mostrato quanto la guerra possa deformare l’animo umano.
Ipotesi sul finale
Non esiste nessuna certezza sul finale e sulla vera natura dei personaggi ed è lo stesso Tomino che ha dichiarato di aver lasciato il finale aperto a più interpretazioni. Ed ecco quindi che i fan si sono lasciati andare a libere interpretazioni che potrebbero essere vicine o lontane dalla realtà ma che di fatto sono interessanti.
Teoria 1: Koros è la madre di Banjo e di fatto il primo meganoide. Haran Sozo è Don Zauker e questo spiegherebbe il legame tra i due e perchè solo lei riesce a comunicare con lui. Banjo Odia il padre per quello che ha fatto alla madre e di riflesso odia lei perchè lo sostiene. La storia della morte della madre per mano dei meganoidi è una metafora dato che diventando megaonide di fatto perde la sua umanità per mano loro. Banjo alla vista della morte di Koros/Madre realizza di aver esagerato e dopo lo scontro sparisce e nessuno più ha sue notizie.
Teoria 2: Koros è l’assistente di Haran Sozo/Don Zauker. E’ quella che lo ha aiutato a creare i Meganoidi che sono i responsabili della morte della mamma e del fratello di Banjo. Banjo odia Koros perchè è la donna che ha allontanato i suoi genitori ed è in qualche modo la responsabile della guerra perchè senza i meganoidi non ci sarebbe stato nessun conflitto.
Due teorie interessanti ma che non avendo conferme ufficiali resteranno tali.
Daitarn 3 vs Zambot 3: il volto bifronte di Yoshiyuki Tomino
Il confronto tra Daitarn 3 e Zambot 3 è inevitabile, soprattutto osservando i rispettivi finali. Entrambe le serie sono state dirette da Tomino, eppure rappresentano due facce opposte del suo approccio alla narrazione mecha. Zambot 3, immediatamente precedente, è un anime cupo e spietato, nel quale la battaglia contro gli alieni Gaizok conduce alla devastazione e al sacrificio supremo. Il protagonista, Kappei, sopravvive, ma a caro prezzo: il finale è una tragedia cosmica in cui quasi tutti i personaggi principali muoiono, tra cui interi nuclei familiari, e l’umanità resta traumatizzata e diffidente.
Se Zambot 3 mostra la crudeltà della guerra attraverso gli occhi di un bambino, Daitarn 3 propone invece una visione più ironica e distaccata, filtrata dallo stile da James Bond di Haran Banjo. Ma proprio per questo, il finale di Daitarn 3 colpisce ancora di più: perché sotto la patina avventurosa, si cela la stessa inquietudine di fondo. Mentre Zambot ci trascina nella tragedia apertamente, Daitarn lo fa in modo subdolo, con un sorriso amaro e una battuta che riecheggia nella mente: “Erano poi così diversi da noi?”
Tomino, in entrambe le opere, ci interroga sulla responsabilità umana, sul valore del sacrificio e sulla sottile linea tra progresso e distruzione. Ma mentre Zambot si chiude nella disperazione, Daitarn lascia uno spiraglio: il sole è ancora vivo, sì, ma lo è anche il dubbio. E questo dubbio è il cuore del finale, una riflessione che si è potuta cogliere solo grazie al recupero del senso originario nell’adattamento Dynit.
In conclusione, il finale di Daitarn 3 è uno degli esempi più eclatanti di come l’adattamento possa trasformare la percezione di un’opera. Grazie al ridoppiaggio Dynit, il pubblico italiano ha potuto finalmente accedere alla complessità originale voluta da Tomino, scoprendo un finale profondo, ambiguo e tutt’altro che rassicurante. Un finale che, come quello di Zambot 3, non chiude la storia, ma apre domande ancora oggi attualissime.
Laureato in Architettura, da sempre appassionato di fumetti, manga, anime, manga e sigle tv. Da oltre 15 anni con il nome Vite da Peter Pan è ospite fisso di fiere come Napoli Comicon e Lucca Comics and Games oltre a diverse presenze in altre fiere come Romics, Etna Comics, Palermo Comiconvention, Anime in Fiera, Wondercon, Un mare di comics ed altri eventi a tema come il Raduno Nazionale Cartoon Cover Band che ha presentato per 5 anni. Ha all’attivo tre pubblicazioni, la più recente è “L’architettura nei fumetti e nei cartoni animati” per Douglas Edizioni. Alcuni suoi disegni sono stati pubblicati su diverse riviste di settore e nel 2022 ha realizzato la sua prima mostra pittorica dal titolo Behind the mask che è stata allestita in eventi di settore come Anime in Fiera e Wondercon.