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Gabriele Oriali è una sorta di fuoriclasse dell’italico pallone. Per lui parla la Storia (doverosamente in maiuscolo…), avendo vinto da protagonista la Coppa del Mondo in Spagna nel 1982. Esaurita la “vita da mediano”, Lele ha trasferito la sua leadership silenziosa dietro una scrivania. 

Se Aurelio De Laurentiis ha affidato la rifondazione del Napoli ad Antonio Conte, il motivo è presto detto: l’allenatore rappresenta una straordinaria garanzia sul piano tattico, fisico ed emotivo. La promessa che i giocatori verranno messi nella condizione ideale per rendere al meglio delle loro potenzialità. Insomma, grazie al suo lavoro, si tenterà di costruire un gruppo che vada bel al di là della somma dei singoli talenti.

Nondimeno, Conte ha insistito con la proprietà per inserire nel supporting-cast una figura dirigenziale del calibro di Oriali. Una scelta che prescinde ovviamente i valori tecnici e afferisce invece maggiormente il lato umano. Lo considera il più adatto a gestire i rapporti diplomatici interni ed esterni al terreno di gioco. Consapevole che dietro le fortune di un Top Club ci siano sempre quadri intermedi forti e competenti. In grado di interfacciarsi con tutte le componenti che gravitano attorno a una squadra di altissimo livello.

Una inversione nemmeno troppo nascosta, quella del presidente partenopeo, rispetto alla tendenza radicata negli anni passati. Con una organizzazione societaria assai snella: lui al vertice delle gerarchie, il figlio Edo alla base della piramide. E poi un evidente vuoto pneumatico, dalle stanze del potere al campo. Non è un caso se il Napoli post scudetto si sia liquefatto come un ghiacciolo all’equatore, proprio dopo aver perso allenatore e diesse. Innegabile che la squadra Campione d’Italia sia stata il frutto del lavoro congiunto di Spalletti e Giuntoli. Entrambi, a modo loro, capaci di entrare in simbiosi con una proprietà totalizzante e fortemente accentratrice.

Edo out, Oriali in

Adesso una struttura articolata che supporti adeguatamente l’area sportiva diventa la potenziale chiave di volta della prossima annata azzurra. Dando maggiore rilevanza alla gestione degli uomini a chi sta dietro la scrivania. Poiché i giocatori non sono solamente strumenti per raggiungere uno scopo. Ma per produrre risultati adeguati ai loro contratti multimilionari devono in ogni caso avere qualcuno affianco che li aiuti. Il classico collante che tiene unito lo spogliatoio.

Oriali dunque non farà da mero parafulmine. Al contrario, Don Aurelio vuole che sia l’emanazione diretta della sua azienda calcistica. In questo scenario si inseriscono altre due decisioni, solo in apparenza accessorie. Anzi, perfettamente in linea con il nuovo modello da perseguire: stratificare le competenze. Mandando Peppe Santoro a coordinare il settore giovanile. Un incarico già svolto in maniera eccellente in passato, prima all’Avellino e poi nel Napoli che risorgeva come l’Araba Fenice dalle ceneri del fallimento.

E riducendo notevolmente l’influenza di Edo all’interno dell’Area Tecnica. Così da sottrarre dall’equazione un personaggio scomodo. Perché una squadra a certi livelli non può e non deve avere nessuna zona d’ombra. E il figlio del padrone che bazzica costantemente nello spogliatoio non garantisce certamente un basso profilo. Tantomeno addolcisce l’interazione tra società a giocatori. Manco gli ammutinamenti (veri o presunti…) non avessero fatto arrivare il loro messaggio, certificando quanto gli animi talvolta fossero esacerbati. Con il vice-presidente che, palesemente impotente davanti a situazioni in caduta libera, non ha per nulla contribuito a smussare i toni in più di un’occasione.

In definitiva, i grandi dirigenti sono sicuramente sovrapponibili ai Top Coach, specialmente se gli viene riconosciuto una posizione tutt’altro che marginale, magari anche muovendosi nell’ombra. Spesso se ne riconosce l’imprescindibilità quando mancano. Sintomatico l’esempio del Napoli quest’anno, una squadra comunque piena di talento, che persa i suoi riferimenti è letteralmente implosa, governata da tre allenatori inermi e spaesati.  

Chiaramente, la terapia d’urto rappresentata dall’assunzione di Oriali dovrà essere filtrata attraverso i risultati. In fondo, non potrà mai esserci un dirigente eccellente se il campo non gli dà poi ragione.

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